Le prime slides (diapositive? banale!) erano già scorse accompagnate dalla loro inesorabile quanto scontata descrizione raccontata dalla voce, cadenzatamente arrotondata dalla erre alla "francese", di Angelo allorché possiamo dire che tutto si era già compiuto. L'assalto degli uomini di Geronimo, i terribili Apaches, vestiti della loro tuta mimetica di indiani metropolitani, alle strutture fondamentali dell'aeroporto di Capodichino, era avvenuto. I punti chiave erano in possesso dei suoi uomini che minacciavano, con frecce avvelenate al sindacato, chiunque osasse presentarsi ai varchi d'ingresso.
Già da alcune ore nessun aereo azzardava più avvicinarsi da terra, da cielo e da mare e la voce era corsa in tutti gli aeroporti della nazione tant'é che i velivoli diretti a Napoli, venivano indirizzati per la loro gran parte su Roma rendendo Fiumicino più caotica di quanto non lo fosse già normalmente. Solo il nostro migrante ignaro, godeva della calda e soporifera cadenza con cui la descrizione di Link Source gli veniva lentamente somministrata. Le spiegazioni erano metabolizzate a rilento. Gli occhi, che facevano fatica a restare attenti, correvano veloci tra lo schermo, a leggervi con trascurato ed incolpelvole disinteresse le frasi peraltro incomprensibili che vi si avvicendavano (customizzato? marcappizziamo? ma che lingua è?) e l'immagine della sua casetta alla quale, dopo un viaggio non breve ma rapido, si vedeva approdato.
Stanco ma felice.
Arrivo a Capodichino alle sedici e trenta, alla stazione ferroviaria alle diciassette e trenta. Alle diciassette e cinquanta il regionale... Insomma, mal che vada, pensava, alle diciannove sono a casa sempre che sopravviva a questo strazio.
Ma Geronimo, e lui non sapeva di Geronimo, aveva programmato diversamente. A Capodichino, e lui nel frattempo nel taxi che lo portava spedito all'aeroporto di Caselle assaporava il momento in cui alla signora - sì, era sicuro sarebbe stata una bella signora ad accoglierlo al banco - avrebbe chiesto un posto in corridoio, cercavano di trattare con l'agguerrito capo indiano.
Il generale Custer era stato allertato già dalla sera prima, e lui aveva promesso di intervenire. Ma l'ormai vegliardo stratega, assaporando a suo modo il momento della vittoria che riteneva ineluttabile - da dove poi gli venisse quella sicumera resta un mistero visto l'ultimo suo infausto precedente -, non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte finendo con l'addormentarsi, e profondamente, alle cinque del mattino del giorno successivo per svegliarsi, di sorpresa, verso le dodici.
Troppo tardi: lo sciopero degli autobus era iniziato e così, già pur tutto bardato per la battaglia, rimase bloccato a Little Big Home senza potersi muovere. Saputo del sicuro arrivo di Custer, Geronimo dal canto suo pensò:
"Azz''o, ma chist' è scemo 'overamente! Manco ll'é bastato 'o mazziatone che l'ha rato 'o cumpagno mio!" palesemente riferendosi a Toro Seduto, a Capo Seattle ed ai loro Sioux solo poco più d'un centinaio d'anni prima. A quel punto non aspettava altro che arrivasse per incontrarlo.
"S'add'essere rincuglionito bbuono, o viecchio! Guagliò - fece ai suoi - quanno vene 'nce facimmo nu' mazz' 'accussì!" e nel contempo fece un ampio gesto con le mani a significare quello che, nel linguaggio gestuale degli indiani, vuole dire "A cappiello 'e prevete".
In torinese si dice "Gli daremo tanti di quei calci che non potrà sedersi per un bel po' di tempo da nessuna parte, visto che si troverà ad avere un posteriore molto ma molto grosso". Uéh! Ce l'ho fatta. Non c'é dubbio che il napoletano è una lingua sintetica ed espressiva.
A Capodichino Geronimo ed i suoi si fregavano le mani dichiarando apertamente:
"Nuje 'a ccà nun ce muvimmo. Vulimm''aspettà a Castér. 'O vulimmo veré 'nfaccia, stù piezz'e fetente pe' sentì che ce vo' ricere. Poi 'nce facimmo n''ata vota nu mazzo tanto e ce ne jammo. Accussì s'empara a rompere 'o c... 'a ggente che fatica. Isso e tutti chilli fetienti ca ce trattano manc''a chiavica".
In sintesi: il Capo Indiano è arrabbiatissimo.
Dunque mentre a Capodichino, si diceva, Geronimo si manifestava apertamente agguerrito, il nostro migrante si rifocillava al ristorante a spese Alitalia. Si sa che nel nostro Paese il primo pensiero è il mangiare, e per un meridionale è l'unica cosa che conta. Figuriamoci quando poi è gratis.
"Guardi che per il volo su Napoli c'é un problema. L'aeroporto è stato occupato dagli Apaches della Gesac. Ci sono trattative in corso. Se Custer arriva in tempo e risolve la situazione si parte. D'altronde aereo ed equipaggio sono pronti, se ci danno l'OK si decolla al massimo alle quindici e trenta. Stiamo anche provando ad essere autorizzati a portarvi a Roma"
"E da Roma? Come ci fate arrivare a Napoli?"
"Beh, lì dovete pensarci voi. Non è un nostro problema, cioè non è un problema della compagnia, ma dell'aeroporto. Non possiamo far nulla di più."
"Ma mi sembra strano che l'Alitalia non si prenda cura della sua clientela in una situazione di disagio. Una volta a Roma poi che si fa?"
"Guardi, faccia una cosa. Ripassi tra una mezz'ora. Tra mezz'ora sapremo se si arriva a Napoli o se vi si porta a Roma. Faccia così, nel frattempo utilizzi questo buono pasto. Lo può spendere presso il self-service del piano di sopra, quando ha terminato ripassi e saprà cosa è successo e qual'é la decisione presa."
"Allora ripasso per le due? (le due, in napoletano, sono le quattordici ora di Torino)"
"Si, alle due". Strano ma ha capito.
Ed il migrante meridionale abbocca! Ah il poter mangiare a sbafo che fa fare!
D'altronde perché vergognarsi. La storia del Risorgimento lo ha ampiamente denunciato. Il piemontese prese per fame il meridionale, e con la scusa di saziarlo corruppe e vinse il napoletano.
Lì, al self-service del primo piano, si ritrovarono in tanti. Erano tutti napoletani sulla via del ritorno. Alla cassa eran più i pasti pagati con i buoni che quelli pagati in euro. Tutti che nel frattempo pensavano a sistemar lo stomaco. Tanto poi qualcosa succede.
Ed il resto infatti è quello che è successo.
La decisione è presa: si va a Roma. Beh, nessun obbligo. Se proprio si vuole, altrimenti si può rinunciare e provare a farsi rimborsare il biglietto. Ma c'é una bella fila da fare. Se si ha un po' di pazienza...
Altrimenti si raggiunge Fiumicino e poi lì ci si arrangia.
Un autobus per raggiungere Napoli?
Nemmeno a parlarne. Alitalia non c'entra, perché dovrebbe pensarci. Son costi, son spese. Non se ne parla nemmeno.
Un autobus per raggiungere Termini? (per gli ignari è la stazione ferroviaria di Roma).
Impossibile: c'é lo sciopero. Anzi: per chi vuol raggiungere Roma sappia bene che c'é lo sciopero, i mezzi pubblici mancano; lo sciopero forse finisce alle venti.
Come sempre la presunzione savoiarda: a Torino lo sciopero finisce alle venti, quindi anche a Roma deve finire alle venti. Bah! Meno male che si sbagliavano. A Roma finiva alle sedici e trenta.
Organizzare un autobus privato?
Ma che fa, scherza? E chi lo organizza? Chi lo paga? Per carità. Alitalia non ha colpe.
Certo, la colpa è di chi vuol partire per forza.
"Ci pensi bene. Allora che fa? Parte?"
"Sì, parto."
"Allora si ricordi che una volta a Roma lei s'arrangia."
Cosa si voleva che il misero migrante, che vedeva sempre più lontano il momento di riabbracciare il proprio cane... pardon, si voleva scrivere i propri cari - un lapsus con tutta quella stanchezza è giustificabile - facesse, se non pensare d'arrangiarsi?
E così fù.
L'arrivo a Fiumicino, poi il lungo tragitto al treno. La fila alla biglietteria, il primo viaggio per Roma Termini si conclude in una stanca sauna tra gente affranta ed incapace di reagire; una minzione liberatrice, una banana residuo del pranzo del mattino, e finalmente alle diciannove e quarantacinque si riparte per la destinazione agognata.
Lo sciopero a Roma era terminato alle sedici e trenta, ma forse per i treni che collegano l'aeroporto alla città non c'é mai stato. Ma che importa.
E di Geronimo? Che cosa ne é stato di lui? Dei suoi indiani, di Custer e di tutti gli altri protagonisti della storia?
Non abbiamo saputo nulla di loro, né in verità ci interessa più saperlo.
Il nostro migrante, e questo è quello che ci importa, è tornato. Stanco, affranto, ma felice. Come sempre con il suo solito dubbio: non è che se prendevo il treno ci mettevo solo un paio d'ore in più ed arrivavo riposato?
Ma non c'é tanto rammarico; il pensiero è sempre quello: da Torino? In aereo ci vuole poco più d'un'ora!
Sì, ma sempre che si parta e che si arrivi!
Bah.
Morale: Perché un diritto calpestato possa essere rivendicato, è necessario che lo si faccia conoscere, lo si renda noto. E come si fa a farlo conoscere agli altri se non nell'unico modo possibile? Facendo cioè sciopero, creando disagio, manifestando. Infatti mai, in questa vicenda, il nostro migrante si è adirato od ha inveito contro coloro che lo hanno costretto all'avventura imprevista narrata. Lui è fortunato. Un lavoro lo ha, la sua Azienda non sembra essere in crisi. Almeno per ora. Non così per quegli altri. E lui, il nostro migrante, sa che siamo tutti sotto al cielo, che nessuno può sentirsi sicuro, che la vita è una ruota che gira.
Lui ha solidarizzato così con quei lavoratori pur stando lontano: accettando di buon grado la situazione, senza adirarsi. Prima o poi lui sarebbe tornato comunque a casa. Ed è accaduto proprio così.
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