mercoledì 30 aprile 2008

Risponde la casella vocale di…

Cara Casella Vocale, Buon giorno.

Dice il dottore che da quando parlo con te sto migliorando moltissimo.

Il mio problema, dice lui, è che non devo essere contraddetto.

Lo so gli ho detto io. Perciò con gli amici miei ci litigo sempre.

Loro vogliono sempre fare che mi contraddicono.

Adesso sono le cinque e mezzo del mattino, ma non riuscivo a dormire e così ho pensato di chiamarti.

Tutte le mattine la stessa storia. Mi sveglio e poi non riesco più a dormire. Però anche tu ti svegli alle cinque e mezzo, perché mi hai risposto.

Ti ho chiamato subito, appena mi sono alzato. Il mio primo pensiero è stato per te.

Ho fatto piano – piano per non farmi sentire dalla mamma e da mio fratello.

Mio fratello ci ha il sonno pesante, e russa che una volta ce l'ho pure detto: ma che sonno pesante che ci hai! Qui se viene un terremoto finisce che non ti riesci a salvare e ti troviamo tutto schiacciato sotto le macerie del palazzo.

Lui si è messo le mani nelle tasche dei pantaloni, mi ha fatto gli occhi brutti, che lui gli occhi brutti li sa fare troppo bene, e se ne è andato mormorando che non ci ho capito molto.

Ti ho chiamato subito perché tanto, mi sono detto, sicuramente sta sveglia anche lei.

Vuoi vedere che aspetta la mia telefonata e poi si dispiace se non la chiamo?

Io non ti volevo chiamare perché era troppo presto. Ma poi ho pensato: ma no, che se si è svegliata e aspetta la mia telefonata e non la chiamo si crede che non la voglio più bene.

Comunque io mi sveglio sempre presto, e se vuoi mi puoi chiamare anche tu, una volta.

Tu sei l'unica che mi capisce e che mi lascia parlare senza interrompermi mai.

Mai! l'ho detto anche al dottore l'altro giorno quando ci sono andato.

Lui prima non aveva capito bene, poi si è messo le mani in testa; quando gli ho chiesto perché si stava mettendo le mani in testa ha risposto che aveva bisogno di aggiustarsi i capelli, e poi mi ha detto che è meglio così.

Sono stato fortunato, dice lui, ad aver trovato una persona così gentile e buona.

Magari, mi ha detto, la trovasse pure lui una così. Dice che ci ha la moglie che lo contraddice sempre e gli fa fare quello che vuole lei, mentre invece tu mi fai fare tutto quello che voglio io. La vorrebbe pure lui una come te.

Magari ci posso dare il tuo telefono, così ti può chiamare e così è felice pure lui.

Io voglio parlare, e tu mi fai parlare; io voglio finire di parlare, e tu mi fai finire di parlare. E poi mi dici pure grazie.

Io ti dico "prego", però tu ti credi sempre che io ho già finito perché subito sento che non ci sei più.

Io poi non ho capito bene però, perché il dottore si è messo le mani in testa per aggiustarsi i capelli: è tutto pelato.

L'altro giorno l'ho guardato bene - bene in testa: non ci ha nemmeno un capello! bah!

Ieri era domenica e sono stato alla gita al lago.

Ci sono andato con mio fratello.

Quello alto e che è nato prima di me.

Io sono il fratello più basso e che è nato dopo di lui.

Lui è quello che dice sempre: ma che fai, sei scemo? ma che dici, sei scemo? ma dove ti sei messo, sei scemo? dice la mamma che siccome siamo solo due fratelli e uno è pure scemo, ci dobbiamo aiutare.

A me mi dispiace e non lo voglio deludere e quando mi chiede "sei scemo?" gli rispondo sempre si.

Ogni tanto lui poi si mette a piangere e sento che dice: ma perché proprio a me?

A me mi dispiace che proprio lui è uscito così, ma che ci posso fare? Io lo voglio pure aiutare, ma quello ho paura che poi si dispiace.

La mamma non c'è potuta venire alla gita al lago.

Ha detto che le dispiaceva ma non poteva proprio venire; che il suo direttore le aveva dato un lavoro importante da fare e che era urgente e che doveva andare all'ufficio.

Si è messa un bel vestito bianco tutto scollato, e si è messa pure il rossetto e le scarpe col tacco.

Mia mamma per andare al lavoro tutti i giorni si mette i pantaloni ed un pullover, e poi pure le scarpe da ginnastica.

Forse la domenica il suo direttore vuole che si veste elegante perché è festa.

Io ce l'ho detto: mamma ma questo direttore che vuole! Diccelo che noi dobbiamo andare alla gita al lago e che tu devi stare insieme a me.

Lei però ha detto: eh no, anche la domenica no! Almeno quella!

Che non ho capito bene perché se non voleva andare al lavoro c'è andata lo stesso… Quella veniva tanto bello con me e mio fratello alla gita al lago.

Che sono andato al lago con mio fratello glielo voglio dire anche al dottore, ma volevo dirlo prima a te, mia cara ed affezionata casella vocale.

A proposito, lo sai che ci hai una voce bellissima?

La voce più bella che non l'ho mai sentita da nessuna parte. Nemmeno al cinema o alla televisione.

Sembra quella di una fata. Ah! la mia fata Letizia! così ho capito che ti chiami, è vero?

Non so che lago era, mi ci ha portato mio fratello.

Lui voleva che mi facessi pure il bagno, ma io non l'ho voluto fare e lui ha detto che era peccato, perché l'acqua era bella ed il lago profondo che si vedevano i pesci che stavano sul fondo, e che se volevo potevo toccarli con le mani.

Io ci ho detto: che me lo faccio a fare il bagno, tanto non so neppure nuotare.

Lui ha detto che non faceva niente; ma lui ha detto così perché è buono e non mi voleva dispiacere; io so che uno quando si fa il bagno deve nuotare se no poi come fa a galleggiare?

Solo se uno si fa il bagno nella vasca a casa non si deve nuotare.

Una volta però ho letto su un giornale che uno si è fatto il bagno nella vasca a casa ma poi è affogato perché non sapeva nuotare.

Era una vasca grande – grande. Stava scritto che il giornale diceva che era una piscina.

Che poi ho detto: ma come una cosa così piccola uno si affoga? Forse si è sbagliato; non era piccola, ma veramente grande; io mi credo che doveva scrivere pisciona.

Si deve essere dimenticato di metterci la "o" in mezzo.

Veramente a mio fratello non gli ho chiesto come si chiamava questo lago dove siamo andati con mio fratello, perché mi sono detto: ma a me che me ne importa come si chiama? tanto mica ci ha il telefono il lago che poi lo devo chiamare e non so il nome e non me lo possono passare?

L'acqua veramente sembrava tutta piatta, però anche quando è piatta bisogna stare attenti, perché poi si formano i vortici.

L'ho letto su una rivista che teneva mio fratello sopra al letto. Stava scritto "I pericoli di farsi il bagno al lago. Come evitarli."

Ci stavano pure dei ragazzi che mi sono sembrati proprio dei ragazzi che andavano sopra al lago in una barca molto stretta e piatta.

Attenti, gli ho gridato, che il lago fa dei brutti scherzi. D'un tratto le acque si agitano e si finisce sotto e si affoga. Quando uno affoga poi si devono chiamare i soccorsi, i soccorsi arrivano sempre tardi, e poi quello muore.

Uno di loro mi ha gridato una cosa che non sono riuscito a capire mentre gli altri hanno abbandonato i remi per aggiustarsi il costume.

Almeno a me così mi è sembrato.

Glielo ho pure detto: dovete tenere le mani sui remi che se no la barca si accappotta! Ve li dovevate aggiustare prima i costumi.

Mio fratello mi ha detto che mi dovevo fare i fatti miei; che non si stavano aggiustando il costume, ma stavano facendo delle pratiche magiche scaramantiche per non affogare nel lago, e che se mi stavo zitto era meglio.

Anche perché eravamo appena arrivati e non voleva essere costretto ad andarsene subito per via delle mazzate che ci potevano arrivare.

Ha detto che erano tutti napoletani e che i napoletani subito se la prendono a male se uno li distrae mentre stanno remando sopra il lago dentro una barca molto stretta e piatta. Se volevo potevo provare anche io ad andarci per vedere se veramente la barca si accappotta, che lui me la fittava con piacere.

Ma io non so remare, gli ho detto, e lui ha risposto che non faceva niente.

Mio fratello è così: ogni cosa che c'è pericolo per me, dice sempre che non fa niente.

Lui lo so che lo dice per me, per non farmi impressionare perché mi vuole bene.

Quello che mi ha gridato dietro invece prima mi ha detto delle cose che non ho capito - ma mio fratello ha detto che è stato meglio che non ho capito - e poi si è aggiustato anche lui il costume.

Quello che non capisco è perché uno si compra le cose senza sapere se gli vanno bene, e poi se le deve stare ad aggiustare.

Io quando mi compro una cosa prima me la misuro, e poi se mi va bene me la compro, altrimenti ci dico al negoziante: no, non mi va bene; mi va troppo stretta o troppo larga, adesso non me lo ricordo perché me la sono tolta, e perciò che me la compro a fare? arrivederci. ci vediamo quando ci avete una cosa che mi va bene.

Cara Casella Vocale adesso ti devo lasciare perché debbo andare a fare colazione.

Si sono fatte le otto e mi sta chiamando la mia mamma.

Mi devo mangiare il caffelatte con i biscotti che mi ha comprato.

Sono buonissimi. Ci hanno il cioccolato sopra che mia mamma chiama le gocce di cioccolato.

Io poi mi domando: ma come fanno a farci cadere uno per uno tutte queste gocce di cioccolato? Ci vuole un sacco di tempo! Però a me questi biscotti mi piacciono moltissimo.

Dentro al caffè latte ci metto prima lo zucchero, e poi i biscotti.

Ma me li devo mangiare subito che poi se aspetto un poco si ammollano tutti e pare che scompaiono.

Ciao Casella Vocale.

Ci sentiamo più tardi. Mi raccomando ma tu rispondimi.

Non farmi aspettare troppo.

L'altro giorno mi hai fatto aspettare troppo.

Ce l'ho detto pure al dottore: dottore mi credevo che era uscita e che non c'era nessuno in casa perché non rispondeva.

Ma lui ha detto che no, non mi devo preoccupare.

Tu ti credi che non c'è mi ha detto lui, ma può essere che sta in bagno oppure sta in cucina e sta facendo due uova al tegamino - ma come se le mangia due uova questo tegamino? pure il tegamino della mia mamma si mangia sempre due uova, io però non l'ho mai visto che se le mangia.

Forse lo fa di nascosto perché si vergogna a mangiare solo due uova perché è povero e non si può comprare la spesa.

Ma non ci fa male che si mangia sempre solo due uova? mai un po' di pasta, un po' di carne: sempre due uova.

Secondo me prima o poi finisce al manicomio a mangiare sempre due uova.

Poi il dottore si è preso i cento euro della visita e mi ha detto: mi raccomando, martedi vieni un'altra volta e raccontami che cosa vi siete detti tu e la tua amica.

Questo dottore è scemo veramente: ancora non l'ha capito che tu sei mia amica perché mi fai parlare solo a me. Se no che ti chiamo a fare se parli anche tu? Per farmi contraddire che lui lo sa che non devo essere contraddetto?

Mi ha detto anche: continuala sempre a chiamare, mi raccomando! non ti dimenticare, che ti sta facendo bene.

Per lo meno ancora un altro anno devi continuare a chiamarla, perché poi in estate noi ci vogliamo fare una crociera.

Io gli volevo dire: e che mi importa che tu ti vuoi fare una crociera, io basta che chiamo all'amica mia!

Poi ho pensato che si dispiaceva se ci dicevo così.

Però domani glielo dico e poi ti racconto che cosa mi ha risposto. Va bene?

La chiamo anche per più di un anno! Ho detto io.

Bene, ha fatto lui, che così ci facciamo la crociera anche l'anno prossimo.

Veramente a me questo dottore mi sembra un poco pazzo. Speriamo bene, che non si sa mai.

Ciao.

Magari ti chiamo stasera.

Mi raccomando fatti trovare.

domenica 27 aprile 2008

… che non si può mai sapere!

"Portati l'ombrello! Che non si può mi sapere. Magari viene a piovere e poi ti prendi l'influenza!"
Piena estate, giornata di sole. Ipotesi pioggia: zero. Nemmeno le più infauste previsioni ne lasciano trasparire l'eventualità.
Non un "Magari piove e poi fai gli starnuti, ti può venire la tosse, un raschietto alla gola".
Ma che! Direttamente l'influenza.
Non un "ti potresti bagnare… può darsi che poi l'acqua ti si asciuga addosso e ti viene freddo… potresti avere di mal di testa e forse, molto forse qualche decimo di febbre…"
No. Niente di tutto questo: dalla pioggia che forse potrebbe venir giù non si sa da dove e come, all'influenza.
"Mettiti la maglia di lana! Che non si può mi sapere. Magari fa freddo e poi ti prendi l'influenza!"
L'influenza. Il solito eterno tormentone. La minaccia incombente. Il ricatto psicologico della mia - solo?- infanzia.
Si, perché ammalarsi, quanto ero in età fanciullesca, era una disgrazia.
A pagamento la visita del medico, a pagamento le medicine.
Di gratis c'era solo il nonno pronto a far le siringhe di penicillina che facevano un male terribile.
Entrambi. La penicillina ed il nonno.
Le siringhe erano quelle di una volta. Di vetro, e con il bollitore in pura latta.
E la recondita mai avverata speranza che l'oggetto maledetto cascasse a terra e si rompesse rimandando il momento fatale.
Era Comunque una specie di litania familiare. Veniva da lontano. Mia madre era soltanto l'ultimo momentaneo anello della catena.
La mia doveva averla imparata dalla mamma, mia nonna, che a sua volta doveva averla ereditata dalla sua di madre e così andando a ritroso fino a Mosè:
"Mettetevi il salvagente mentre attraversiamo il mar Rosso. Che non si può mi sapere. Metti che si richiudono le acque troppo in fretta, affogate tutti!"
Una litania dicevo.
S'andava fuori in gita o per lavoro? "Portati un pantalone di ricambio! Che non si può mi sapere. Magari ti si macchia quando mangi e che figura ci fai?"
Pantalone, giacca, maglione, ombrello, calzini, lacci da scarpe, spazzolino… Insomma: se non avessero già inventato la ruota di scorta, ci avrebbe pensato la mamma.
"Vai in giro con l'auto? Mi raccomando, portati una ruota di ricambio! Che non si può mi sapere. Magari se ne buca una e poi come torni?"
Quello di cui si poteva star certi era che se si usciva senza ombrello, non si aveva il pantalone in più, o si stava senza un maglione d'appoggio, si scatenava un temporale mai visto, ti macchiavi il pantalone, veniva giù un freddo siberiano.
Insomma più che una previsione di possibile eventualità seppure remota, una stregoneria vera e propria.
Ma credo che questa sia stata una idea del buon Signore, quando si accorse che non sempre le mamme venivano mai ascoltate e prese sul serio.
E questa storia si è così radicata, che non v'è famiglia dove in una qualche parte della casa non si conservi un pigiama buono od una comincia da notte perché "Meglio averla pronta! Che non si può mi sapere. Posso mica andare in ospedale con la camicia di tutti i giorni! Che se poi resto lì, mi devono seppellire così come sto combinata per casa."
Ma sappiamo che il Buon Dio non guarda alla camicia da notte con la quale le mamme si presentano a lui.
Non guarda niente: gli basta solo sapere che si tratta di una mamma.
A lui basta questo!
Le mamme, e su questo non ammette ragioni, lui le guarda dentro perché sa che sono bellissime così come sono.
Tutte.
Nessuna esclusa.
Anche se arrivano su con la camicia di tutti i giorni, e… senza la maglia di lana.


 

venerdì 25 aprile 2008

Oggi tema in classe

Tema:

La mia famiglia.

Svolgimento.

La mia è una famiglia di origini lontanissime.
Uno dei miei avi emigrò dalla Grecia quando, avendo egli un commercio di olio tra il suo ed alcuni paesi dell'Europa occidentale in società con altri due suoi amici, decise che era giunto il momento di provarci.
Partito con la solita nave da Patrasso carica di oltre 300 barili d'olio da destinare in Spagna, cambiò rotta facendo scalo in un porto nascosto della Sicilia occidentale dove lo aspettavano degli acquirenti greci che si erano messi d'accordo con lui per comprare, di nascosto, tutta la partita ad un prezzo convenuto.
Lì avvenne la transazione. I barili d'olio furono sostituiti con barili pieni di acqua salata di mare e la nave intraprese la rotta per la Spagna non riuscendo a raggiungere la destinazione prevista perchè naufragò. Ovviamente una finzione.
Ma mentre i soci del mio bisnonno credettero alla disgrazia e piansero la triste sorte dell'amico e socio morto e sepolto in fondo al mare lui, con una barca acconciata all'uopo, raggiungeva remando con foga le coste napoletane; intanto quando i compratori greci s'accorsero che i barili non contenevano l'olio d'oliva puro che credevano, ma del vile olio di semi vario misto ad acqua di mare, era ormai troppo tardi.
Il mio bisnonno, che sapeva non aver molto tempo per sfuggire alla loro ira, inscenò una rissa in una taverna del porto di Puteoli, vicino Napoli, riuscendo a far credere di essere rimasto vittima di un ferimento mortale nel corso della colluttazione.
Si inventò solenni funerali con deposizione di una bara vuota in una fosse comune del cimitero; quindi restò nascosto per oltre un mese cibandosi di bacche e di erbe selvatiche, e si fece crescere una folta barba che dipinse, insieme alla fluida chioma che nel frattempo gli era cresciuta, di un rosso ramato che piuttosto che ringiovanirlo come credeva, lo aveva invecchiato di vent'anni.
Forse quella fù la sua salvezza. Cambiò identità modificando il suo cognome e trasformando tutte le "K" e le "omega" che contenevano; riuscì a fingersi muto perchè non si riconoscesse la sua stentata pronuncia dialettale ed iniziò così una nuova vita sposando quella che divenne la nonna di mio padre; tra tutti il quinto dei loro sette figli.
Io il suo secondogenito. Il mio bisnonno sperperò tutta la fortuna truffaldinamente accumulata in speculazioni sbagliate; d'altronde la farina del diavolo finisce sempre in crusca.
A tal motivo ciascuno dei suoi sette figli dovette ricominciare daccapo ed anche mio padre, a sua volta, non fù da meno.
Ora noi viviamo una vita decorosa in una casetta acquistata col sudore della fronte e con sacrificio ma, nelle serate d'inverno, quando la nostalgia ci prende, vorremmo ritornare in Grecia per conoscere i discendenti della prima famiglia.

La corriera per Lecce

L'autobus rosso aveva appena imboccato l'ingresso della statale in direzione Taranto allorché una pattuglia della Guardia di Finanza, ferma un po' più avanti dell'immissione, paletta bene in vista, intimò l'alt all'autista che allegramente viaggiava con perfetta sincronia tra i tempi d'arrivo previsti e quelli effettivi.
Quello che a coloro che erano alla prima esperienza sembrava un semplice controllo, apparì agli altri come una iattura; una ispezione foriera di un fastidioso ritardo se non addirittura altro.
Qualcuno raccontò di un controllo terminato presso gli uffici della questura dove furono registrati i documenti di tutti.
Nel mentre quindi, la preoccupazione cominciava a serpeggiare negli animi, i volenterosi agenti, dando l'impressione di mirare ad un obiettivo ben preciso, infilati all'interno del vano bagagli, tirate fuori borse, buste e zaini incominciarono una attenta analisi dei loro contenuti.
D'un trattato il volto d'uno di quei giovani in divisa, saliti i tre gradini dell'ingresso, sbucò orgoglioso al centro del corridoio dietro il suo trofeo: uno zaino bicolore che si reggeva ben alto e rigido in tutta la sua ampiezza.
Si udì dietro quegli occhi gioiosi una voce invitante il proprietario a farsi avanti subito onde evitare noiose perdite di tempo.
Nemmeno per inteso: sguardi indagatori d'intorno e silenzio.
Unica possibilità, per gli altri ben inteso, per andar via presto: che il proprietario dello zaino si facesse avanti.
Macchè; quasi che quell'oggetto dell'attenzione di tutti si fosse infilato da solo nel bagagliaio.
Ed ecco dunque il risultato: tutti giù dall'autobus.
Recuperato ciascuno il suo bagaglio personale, in un piglia-piglia generale, tutti furono messi bene in fila per quanto era lungo l'autobus; in attesa della conta e del controllo; più incuriositi che preoccupati quelli che erano i viaggiatori abituali.
Già a metà del controllo tutto sembrava finito: erano "saltati fuori" due i possessori dello zaino pieno di CD-ROM masterizzati.
I due furono infilati velocemente nell'auto e portati via insieme al corpo del reato, senza por tempo in mezzo.
I commenti furono dei più svariati e certamente qualcuno avrebbe preferito che ad esser fermati fossero stati i tre di colore che invece, indisturbati ed innocenti, continuavano il viaggio con le loro enormi buste piene di borse e borsette ben sistemate nel bagagliaio.
Viaggio terminato allegramente deliziati dalla voce dell'autista che, pregustando la cenetta telefonicamente concordata con la consorte, passò in rassegna i migliori brani italiani e non, degli anni sessanta.

Cartello affisso fuori ad un ristorante di Catania.

IF YOU GO THIS WAY

FOOD AND NOT MUCH PAY

TIPICAL SICILIAN RESTAURANT

giovedì 24 aprile 2008

S. Francesco di Paola. Festa del Patrono a Scafati

News del folklore. Dal 27 Maggio al 07 Giugno festa patronale a Scafati: si festeggia S. Francesco di Paola.

Corteo cittadino per le vie del centro con esposizione della statua del Santo allietato dalle note del Gruppo Bandistico Raffaele Viviani di Castellammare.

Il corteo, composto principalmente dalla statua del Santo portato a spalla, era preceduto dal gruppo di prelati afferenti la Parrocchia di pertinenza, e seguito da uno sparuto insieme di cittadini più intenti a raccontarsi fatti privati – di amici parenti ed affini - che oranti.

Il termine del corteo vedeva allineati in bella mostra gli ancora ed i non più ragazzi, dell'associazione Boys Scout del posto suddivise nei tradizionali gruppi di ogni ordine e grado, e dalle Guardie Municipali del Comune.

La supervisione accondiscendente del comandante della locale stazione VV.UU. ha benevolmente accondisceso a trasgressioni alle leggi di tipo vario. Tra gli altri si sono distinti i venditori di musicassette e Compact Disk contraffatti che hanno avuto modo di proporre la loro mercanzia senza timori di sequestri e multe.

I cani randagi al seguito con la speranza di un inatteso pranzo succulento da disputarsi, facevano parte della iconografia abituale.

Gli automobilisti fermati dalla possente macchina organizzatrice e costretti ad attendere che il corteo che occupava le vie del centro avesse termine, hanno avuto pensieri non proprio ecumenici nei confronti degli astanti.

Ai balconi venivano esposte, come d'uopo, i pezzi pregiati dei corredi; hanno fatto bella mostra di sé lenzuola finemente ricamante e coperte pregiate.

La popolazione presente, indigena e non, invitata a partecipare alle celebrazioni sacre, era munita di cartocci pieni delle cibarie preparate dai venditori di zeppole e panzarotti il cui pungente olezzo impregnava insistentemente l'aria circostante.

Molti di loro, con la tipica aria del "cca' nisciun' è fesso" ovvero "i so' napulitano, e tu fuss' venut' da' Cina pe' fa fess' a mme?" hanno avuto l'abilità di lasciarsi infinocchiare dai venditori cinesi nell'acquisto di chincaglierie ed oggetti vari.

In tanti hanno colto l'occasione per intrattenere rapporti sociali con conoscenti, manifestando reciprocamente un tale entusiasmo per l'occasionale inatteso incontro da far trasparire all'unisono un unico pensiero: si nun t'incontravo era meglio!

Alcuni dei presenti, non riuscivano a nascondere nel volto il desiderio di rientrare alla propria abitazione per liberarsi degli abiti della festa indossati per l'occasione.

L'attesa per il solito serale tripudio di fuochi artificiali é stato grande; la cosa non ha mancato di destare stupore ed ammirazione per l'abilità dei maestri fuochisti che il prossimo sette giugno vedranno concludere in gloria le loro annuali fatiche.

L'autore del presente testo, coinvolto da consorte e vicini in un tentativo di massima integrazione con l'ambiente, si è premurato di contribuire alla manifestazione approvvigionandosi di un portafoglio costatogli l'iperbolica cifra di ben quattro euro.

Il portafoglio è protetto da una lampo ed è munito di catena da allacciarsi alla cintola dei pantaloni alfine di intimorire i malintenzionati.

Tanto al fine di rendere difficili eventuali tentativi di furto con destrezza.

Al momento il valore dell'oggetto supera il contenuto dello stesso.

Il gruppo del quale l'autore del presente inserto era parte integrante, avendo sorbito in un graziosissimo bar del luogo bibite varie a soddisfazione, ha fatto rientro a casa gioioso per aver trascorso una bella serata.

Napoli/Torino A/R: il ritorno.

Le prime slides (diapositive? banale!) erano già scorse accompagnate dalla loro inesorabile quanto scontata descrizione raccontata dalla voce, cadenzatamente arrotondata dalla erre alla "francese", di Angelo allorché possiamo dire che tutto si era già compiuto. L'assalto degli uomini di Geronimo, i terribili Apaches, vestiti della loro tuta mimetica di indiani metropolitani, alle strutture fondamentali dell'aeroporto di Capodichino, era avvenuto. I punti chiave erano in possesso dei suoi uomini che minacciavano, con frecce avvelenate al sindacato, chiunque osasse presentarsi ai varchi d'ingresso.

Già da alcune ore nessun aereo azzardava più avvicinarsi da terra, da cielo e da mare e la voce era corsa in tutti gli aeroporti della nazione tant'é che i velivoli diretti a Napoli, venivano indirizzati per la loro gran parte su Roma rendendo Fiumicino più caotica di quanto non lo fosse già normalmente. Solo il nostro migrante ignaro, godeva della calda e soporifera cadenza con cui la descrizione di Link Source gli veniva lentamente somministrata. Le spiegazioni erano metabolizzate a rilento. Gli occhi, che facevano fatica a restare attenti, correvano veloci tra lo schermo, a leggervi con trascurato ed incolpelvole disinteresse le frasi peraltro incomprensibili che vi si avvicendavano (customizzato? marcappizziamo? ma che lingua è?) e l'immagine della sua casetta alla quale, dopo un viaggio non breve ma rapido, si vedeva approdato.

Stanco ma felice.

Arrivo a Capodichino alle sedici e trenta, alla stazione ferroviaria alle diciassette e trenta. Alle diciassette e cinquanta il regionale... Insomma, mal che vada, pensava, alle diciannove sono a casa sempre che sopravviva a questo strazio.

Ma Geronimo, e lui non sapeva di Geronimo, aveva programmato diversamente. A Capodichino, e lui nel frattempo nel taxi che lo portava spedito all'aeroporto di Caselle assaporava il momento in cui alla signora - sì, era sicuro sarebbe stata una bella signora ad accoglierlo al banco - avrebbe chiesto un posto in corridoio, cercavano di trattare con l'agguerrito capo indiano.

Il generale Custer era stato allertato già dalla sera prima, e lui aveva promesso di intervenire. Ma l'ormai vegliardo stratega, assaporando a suo modo il momento della vittoria che riteneva ineluttabile - da dove poi gli venisse quella sicumera resta un mistero visto l'ultimo suo infausto precedente -, non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte finendo con l'addormentarsi, e profondamente, alle cinque del mattino del giorno successivo per svegliarsi, di sorpresa, verso le dodici.

Troppo tardi: lo sciopero degli autobus era iniziato e così, già pur tutto bardato per la battaglia, rimase bloccato a Little Big Home senza potersi muovere. Saputo del sicuro arrivo di Custer, Geronimo dal canto suo pensò:

"Azz''o, ma chist' è scemo 'overamente! Manco ll'é bastato 'o mazziatone che l'ha rato 'o cumpagno mio!" palesemente riferendosi a Toro Seduto, a Capo Seattle ed ai loro Sioux solo poco più d'un centinaio d'anni prima. A quel punto non aspettava altro che arrivasse per incontrarlo.

"S'add'essere rincuglionito bbuono, o viecchio! Guagliò - fece ai suoi - quanno vene 'nce facimmo nu' mazz' 'accussì!" e nel contempo fece un ampio gesto con le mani a significare quello che, nel linguaggio gestuale degli indiani, vuole dire "A cappiello 'e prevete".

In torinese si dice "Gli daremo tanti di quei calci che non potrà sedersi per un bel po' di tempo da nessuna parte, visto che si troverà ad avere un posteriore molto ma molto grosso". Uéh! Ce l'ho fatta. Non c'é dubbio che il napoletano è una lingua sintetica ed espressiva.

A Capodichino Geronimo ed i suoi si fregavano le mani dichiarando apertamente:

"Nuje 'a ccà nun ce muvimmo. Vulimm''aspettà a Castér. 'O vulimmo veré 'nfaccia, stù piezz'e fetente pe' sentì che ce vo' ricere. Poi 'nce facimmo n''ata vota nu mazzo tanto e ce ne jammo. Accussì s'empara a rompere 'o c... 'a ggente che fatica. Isso e tutti chilli fetienti ca ce trattano manc''a chiavica".

In sintesi: il Capo Indiano è arrabbiatissimo.

Dunque mentre a Capodichino, si diceva, Geronimo si manifestava apertamente agguerrito, il nostro migrante si rifocillava al ristorante a spese Alitalia. Si sa che nel nostro Paese il primo pensiero è il mangiare, e per un meridionale è l'unica cosa che conta. Figuriamoci quando poi è gratis.

"Guardi che per il volo su Napoli c'é un problema. L'aeroporto è stato occupato dagli Apaches della Gesac. Ci sono trattative in corso. Se Custer arriva in tempo e risolve la situazione si parte. D'altronde aereo ed equipaggio sono pronti, se ci danno l'OK si decolla al massimo alle quindici e trenta. Stiamo anche provando ad essere autorizzati a portarvi a Roma"

"E da Roma? Come ci fate arrivare a Napoli?"

"Beh, lì dovete pensarci voi. Non è un nostro problema, cioè non è un problema della compagnia, ma dell'aeroporto. Non possiamo far nulla di più."

"Ma mi sembra strano che l'Alitalia non si prenda cura della sua clientela in una situazione di disagio. Una volta a Roma poi che si fa?"

"Guardi, faccia una cosa. Ripassi tra una mezz'ora. Tra mezz'ora sapremo se si arriva a Napoli o se vi si porta a Roma. Faccia così, nel frattempo utilizzi questo buono pasto. Lo può spendere presso il self-service del piano di sopra, quando ha terminato ripassi e saprà cosa è successo e qual'é la decisione presa."

"Allora ripasso per le due? (le due, in napoletano, sono le quattordici ora di Torino)"

"Si, alle due". Strano ma ha capito.

Ed il migrante meridionale abbocca! Ah il poter mangiare a sbafo che fa fare!

D'altronde perché vergognarsi. La storia del Risorgimento lo ha ampiamente denunciato. Il piemontese prese per fame il meridionale, e con la scusa di saziarlo corruppe e vinse il napoletano.

Lì, al self-service del primo piano, si ritrovarono in tanti. Erano tutti napoletani sulla via del ritorno. Alla cassa eran più i pasti pagati con i buoni che quelli pagati in euro. Tutti che nel frattempo pensavano a sistemar lo stomaco. Tanto poi qualcosa succede.

Ed il resto infatti è quello che è successo.

La decisione è presa: si va a Roma. Beh, nessun obbligo. Se proprio si vuole, altrimenti si può rinunciare e provare a farsi rimborsare il biglietto. Ma c'é una bella fila da fare. Se si ha un po' di pazienza...

Altrimenti si raggiunge Fiumicino e poi lì ci si arrangia.

Un autobus per raggiungere Napoli?

Nemmeno a parlarne. Alitalia non c'entra, perché dovrebbe pensarci. Son costi, son spese. Non se ne parla nemmeno.

Un autobus per raggiungere Termini? (per gli ignari è la stazione ferroviaria di Roma).

Impossibile: c'é lo sciopero. Anzi: per chi vuol raggiungere Roma sappia bene che c'é lo sciopero, i mezzi pubblici mancano; lo sciopero forse finisce alle venti.

Come sempre la presunzione savoiarda: a Torino lo sciopero finisce alle venti, quindi anche a Roma deve finire alle venti. Bah! Meno male che si sbagliavano. A Roma finiva alle sedici e trenta.

Organizzare un autobus privato?

Ma che fa, scherza? E chi lo organizza? Chi lo paga? Per carità. Alitalia non ha colpe.

Certo, la colpa è di chi vuol partire per forza.

"Ci pensi bene. Allora che fa? Parte?"

"Sì, parto."

"Allora si ricordi che una volta a Roma lei s'arrangia."

Cosa si voleva che il misero migrante, che vedeva sempre più lontano il momento di riabbracciare il proprio cane... pardon, si voleva scrivere i propri cari - un lapsus con tutta quella stanchezza è giustificabile - facesse, se non pensare d'arrangiarsi?

E così fù.

L'arrivo a Fiumicino, poi il lungo tragitto al treno. La fila alla biglietteria, il primo viaggio per Roma Termini si conclude in una stanca sauna tra gente affranta ed incapace di reagire; una minzione liberatrice, una banana residuo del pranzo del mattino, e finalmente alle diciannove e quarantacinque si riparte per la destinazione agognata.

Lo sciopero a Roma era terminato alle sedici e trenta, ma forse per i treni che collegano l'aeroporto alla città non c'é mai stato. Ma che importa.

E di Geronimo? Che cosa ne é stato di lui? Dei suoi indiani, di Custer e di tutti gli altri protagonisti della storia?

Non abbiamo saputo nulla di loro, né in verità ci interessa più saperlo.

Il nostro migrante, e questo è quello che ci importa, è tornato. Stanco, affranto, ma felice. Come sempre con il suo solito dubbio: non è che se prendevo il treno ci mettevo solo un paio d'ore in più ed arrivavo riposato?

Ma non c'é tanto rammarico; il pensiero è sempre quello: da Torino? In aereo ci vuole poco più d'un'ora!

Sì, ma sempre che si parta e che si arrivi!

Bah.

Morale: Perché un diritto calpestato possa essere rivendicato, è necessario che lo si faccia conoscere, lo si renda noto. E come si fa a farlo conoscere agli altri se non nell'unico modo possibile? Facendo cioè sciopero, creando disagio, manifestando. Infatti mai, in questa vicenda, il nostro migrante si è adirato od ha inveito contro coloro che lo hanno costretto all'avventura imprevista narrata. Lui è fortunato. Un lavoro lo ha, la sua Azienda non sembra essere in crisi. Almeno per ora. Non così per quegli altri. E lui, il nostro migrante, sa che siamo tutti sotto al cielo, che nessuno può sentirsi sicuro, che la vita è una ruota che gira.

Lui ha solidarizzato così con quei lavoratori pur stando lontano: accettando di buon grado la situazione, senza adirarsi. Prima o poi lui sarebbe tornato comunque a casa. Ed è accaduto proprio così.


 


 

Festival bandistico a Villammare.

Rispettando il canone della più classica delle sue tradizioni di fine estate, nell'atmosfera della fantastica e luminescente Cassa Armonica, il Comune di Vibonati ha organizzato, presso la piazza antistante la Chiesa Madre del suo borgo marino che annomasi con dimostrazione di scarsa fantasia "Villammare", la annuale tenzone bandistica.

Questa, sviluppandosi in due distinte serate, ha offerto, nel corso della prima, all'inclito pubblico di turisti ed indigeni, l'esibizione del gruppo bandistico del Comune di Fisciano; comune reso noto alle cronache culturali internazionali per essere sede dell'Università degli Studi di Salerno; e, nel corso della seconda, quella del gruppo bandistico del Comune di Conversano, località in provincia di Bari sul quale poco o nulla abbiamo da riferire.

Il gruppo bandistico di Fisciano si è cimentato nel proporre le musiche di Giuseppe Verdi composte sui versi de Il Rigoletto, libretto di Francesco Paolo Tosti e, per la seconda parte della serata, quelle scritte da Rossini per il Barbiere di Siviglia.

Il Gruppo Bandistico di Conversano ha allietato la sua serata con musiche tratte da Il Trovatore in prima battuta, quindi da la Carmen di Bizet.

In entrambe le serate, l'inizio dell'intervallo è stato caratterizzato dall'abbraccio al maestro da parte delle autorità cittadine con classica consegna di fiori e targhe.

Presentazione all'inclito dei maestri di musica che hanno raccolto consensi ed applausi che in questo tipo di contesto non vengono lesinati a nessuno.

Preludio a ciascuno dei due intervalli è stato un carosello di musiche vivaci ai quali non si è mancato di aggiungere l'inno di Mameli.

Al librarsi nell'aere della prima nota, come un sol uomo tutto il pubblico presente nello spiazzo è balzato in piedi intonandone i versi, ad immagine e somiglianza del Presidente Ciampi e signora.

A somiglianza di coloro rimasti seduti sulle sedie han fatto quelli che avevano invece poggiato i loro fondoschiena su muretti e sedili di fortuna.

Scrosci d'applausi e volti soddisfatti hanno con indulgente bonarietà, consentito che gli orchestrali procedessero alla meritata pausa sorbendo bevande rinfrescanti e sgranchendosi gli arti inferiori per così tanto tempo immobili.

Si tralascia di trasmettere nota delle seconde parti perché l'inventato cronista, come gran parte del pubblico d'altronde, visto l'anomalo prolungarsi della pausa, ha preferito spostare la sua attenzione altrove.

D'altronde ritenendo che tutti avessero già dato il meglio di sè, trovava difficile il rinnovarsi di nuove e vieppiù sorprendenti emozioni.

domenica 20 aprile 2008

Quelli con i soldi.

Quelli con i soldi si riconoscono subito.

Lo si vede dalla faccia e da come si muovono, da come camminano e dagli abiti che indossano.

Dal volto da cui traspare una tristezza che li avvolge; soprattutto le donne e particolarmente quelle di giovane età.

Indossano vestiti dai prezzi impossibili cercando di avere la stessa naturalezza di chiunque altro che, con la soddisfazione di chi ha speso poco per apparire semplice ed elegante, indossa il suo abitino acquistato al mercato od in saldi.

Sono quelli che i soldi non se li sudano molto; quelli che li hanno per casta, per discendenza.

I loro sguardi annoiati trasudano di infelicità; quella infelicità procurata dall'inerzia con cui son certi che domani sarà uguale ad oggi e così via. Che han bisogno di inventarsi un motivo per giustificare l'inizio del loro nuovo giorno.

A quelli con i soldi manca il fascino che procura l'emozione di non sapere domani che sarà; si rintronano di false illusioni e si rintanano tra di loro, in gruppi ristretti ma in pratica ognuno solo con sè stesso con davanti la propria inutile immagine di una felicità forzata che tarda a palesarsi.

Io non me la passo male, anche se alle volte l'impressione di far fatica a tirare avanti è forte; insieme ci sono coloro che condividono con me il loro domani cercando di fare in modo che sia migliore; allo stesso modo che come prima di me mio papà e quindi il suo.

Mai devo dire però, di aver pensato ci sia mancato o che ci manchi tutt'ora qualcosa.

Non il superfluo, nè la felicità, nè sopratutto l'amore.

Anche l’occhio vorrebbe la sua parte…

La stagione nel corso della quale la donna dal punto di vista dell'estetica dà il peggio di sé, è l'estate.

Non tanto per come usa mettersi in mostra sulle spiagge indossando costumi spesso e volentieri che la rendono sgraziata, quanto piuttosto per il modo di vestirsi quando esce di casa.

L'impressione è che con l'estate, o meglio con il caldo, sopraggiunga una speciale impunità perché gettando via qualsiasi senso di decenza, si mostra vestita in modo tale da non poter passare inosservata agli occhi dei più; e non per avvenenza eleganza od eccentricità, quanto per l'impegno profuso nel rendersi inguardabile tanto da suscitare, quando è il caso, un forte senso di nausea.


 

La fila.

Le attese che si fanno negli ambulatori sono sintomatiche dell'egoismo che caratterizza l'essere umano confermando quanto sia vero il detto popolare "homo homini lupus".

Vorremmo che il tempo dedicato a coloro che ci precedono fosse il più breve possibile, mentre una volta giunto il nostro turno pretenderemmo una visita la più lunga accurata e pacata possibile.

Come le foglie

Sono seduto su una panchina nei giardini.

Osservo passarmi davanti una variegata forma di umanità, ed ho l'impressione di vedere ormai trascorse foglie smosse dal vento, cercare di rimanere attaccate ai rami da cui stanno cadendo.

È inevitabile che prima o poi succeda a tutte.

Nessuna di esse potrà mai restare verde.

Tutte finiranno con il seccarsi chi più chi meno.

Le migliori ingiallite, anche se non per molto.

Tutte finiranno con l'essere calpestate dal tempo che attraverserà frettolosamente il selciato, mentre dall'alto delle fronde saranno oggetto di derisione da parte di quelle che, fintamente ignare dell'approssimarsi dello stesso destino, sembrano non accorgersi del giorno in cui la stessa sorte toccherà a loro.

lunedì 14 aprile 2008

Il buio.

Il buio che mi circonda mi svela la luce della tua immagine sorridente che mi rassicura.
Buon giorno a te mammina!
Oggi che la notte non potrà adombrare ma il più il tuo sguardo, volgiti verso di me e proteggimi ancora come hai sempre fatto prima con le tue incessanti preghiere.
Ora sono io che prego te affinché sia senza affanni e dolori il mio cammino verso la tua stessa luce eterna.

domenica 13 aprile 2008

Evviva i “Grulli”!

La notizia la ricopio, per non poter essere smentito, da Internet. Dal sito della Adnkronos.Roma, 10 apr. (Adnkronos) - "Io non credo che ci possano essere italiani così grulli da poter cadere in un tranello di questo genere". Lo ha affermato Silvio Berlusconi.
Qualcosa, o meglio qualcuno, deve aver ricordato a Berlusconi che prima delle ultime elezioni aveva epitetato gli italiani a lui contrari, con un termine che dava l’idea di un maggior spregiativo.All’epoca mi feci vanto di far parte delle fila di quelli che, a suo dire, appartenevano ad un insieme di oggetti rappresentanti una parte del corpo umano maschile, che sono soliti viaggiare in coppia.Quando è il caso, e per chi li abbia. Dicendo così, non è mia intenzione non inserire tra costoro le rappresentanti de gentil sesso, che spesso ne hanno – seppur di metaforiche – più che molti maschi…..
Questa volta ha cambiato espressione, utilizzando un a suo avviso minor incisivo “Grullo” che di fatto sta a significare “Idiota, “Melenso”; ovvero persona di “Corta intelligenza”.Insomma: tanto per restare nell’ambito delle offese, un’offesa che ad alcuni possa non sembrar tale, ma che tale essenzialmente lo è.
Ebbene per quanto mi riguarda il succo non cambia: mi vanto di far parte del gruppo, del folto gruppo dei “Grulli”.
Io e Berlusconi – ovvero lui e tutti coloro che lo votano e che lo plaudono – siamo diversi.Io non sono come lui. O meglio: sono certo di non essere come lui. Inoltre io mi ritengo senz’altro una persona per bene.Se mi ritengo una persona per bene, e sono certo di non essere come lui e probabilmente come tutti coloro che lo votano e lo plaudono, sono costretto a trarre le mie conclusioni.
Dunque è certo: sono un “Grullo”.Un grullo che rispetta le leggi e non le ha mai violate, non si è mai trovato nella necessità di dover usufruire di condoni, di prescrizioni, di cavilli; di non aver mai avuto denunce od altro e di essersi salvato dalla pena per via di leggi fatte ad hoc, di aver sempre pagato tutte le tasse, di non aver mai pensato a come fregare il prossimo, di non aver mai rubato, né di pentirsi per non saperlo fare.
Soprattutto di non aver mai pensato di voler entrare in politica.
Ecco, se per essere considerato “onorevole” occorre essere il contrario di quello che sono – o forse fare tutto ciò che non ho fatto – fino ad oggi, allora sono contento di essere un grullo.Perché la prima persona cui devo dar conto del mio operato, sono io stesso, ed il mio giudizio su di me, lo considero il più importante di tutti.Quindi: Evviva i grulli!

mercoledì 9 aprile 2008

Un filetto di luna.

Istintivamente rivolgo gli occhi verso il cielo
Dove s’affaccia improvviso un filetto di luna…
L'eco della tua voce che me l’addita,
Carica di meraviglia mi raggiunge.
La mia mano lenta verso l'infinito si protende
A cancellarne l'immagine agli altri.
Resterò lì, a vederlo
sospeso in cielo
finché lento non si trasforma.
Papà…
Ho imparato ad ascoltare il tuo silenzio
Forse troppo tardi
Ed ora che più non può parlarmi,
Forte la sua mancanza
M’assorda.

A nulla serve
stringere forte le orecchie tra le mani.

L’addore d’ ‘e fresie!

Arriv’ ‘n cielo
E saglie ‘n Paraviso
Addo’ ‘na vicchiarella
Azzupp’ ‘o naso
E chianu – chianu
Aret’ ‘e lente spisse
Me surride….