Sono seduto in attesa, nel corridoio di un Ospedale pediatrico.
Sono qui per motivi di lavoro.
Vedo passarmi davanti bambini ai quali non riesco a dare un'età.
Troppo esili o minuscoli la gran parte di loro; tutti con uno sguardo indifeso.
Hanno in comune la rassegnazione.
L'impressione è che siano abituati a quell'ambiente.
Magari più che all'ospedale sono abituati a convivere con la loro malattia.
Volutamente non scrivo “patologie”; nessun bambino penserebbe di avere una patologia, ma piuttosto di essere semplicemente “ammalato”.
Mi chiedo se mai prima di mandar giù le loro bombe chirurgiche, o scaraventare le loro sventagliate di mitra tra i bambini mischiati alle folle, qualcuno di quei soldati, o capi di stato, siano mai stati seduti in attesa in un corridoio di un ospedale pediatrico.
Se sui loro volti si sono mai disegnate le stesse espressioni che ho visto in quei genitori, medici, infermieri che li accompagnavano mentre aspettavano che arrivasse il momento della visita, dell'indagine, del risultato.
In un ospedale pediatrico c'è una magica complicità che accomuna genitori, medici ed infermieri, rendendo ciascuno un figlio di tutti.
Lo si legge negli occhi.
Mi è capitato di stare seduto in attesa, anche nel corridoio di un ospedale normale.
Dove davanti mi passano soprattutto gli anziani.
Anche di loro non riesco a dare un'età.
Anche nei loro volti leggo una strana abitudine a quell'ambiente.
Ho provato ad accomunare i visi di questi ultimi, con quelli dei bambini per individuare la differenza di quella strana rassegnazione che li differenzia.
Cercare di interpretare cosa raccontasse quell'apparente identico modo di vivere l'attesa.
Niente li accomuna.
Nei bambini c'è l'immagine di una radicata convinzione di un passaggio momentaneo.
Prima o poi finirà, usciranno fuori, ritorneranno ai loro giochi, amici, familiari; forti e sani come prima se non di più.
Anche se per qualcuno non sarà poi così.
A nessuno di loro l'età impedisce la speranza.
Anche ai più disperati.
Per gli altri c'è la rassegnazione di chi si accorge che forse sta veramente finendo.
Che pur uscendo di lì, non sarà più come prima.
Che nel frattempo qualcos'altro si è consumato ancora un poco.
Qualcosa che non può essere più aggiustato o sostituito.
La testimonianza di un altro pezzo di vita che si allontana.
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