martedì 31 agosto 2010

Diario delle vacanze. 1

Trenta Agosto 2010.
Ormai fine mese e prossima conclusione delle vacanze.
Oggi il mare è agitato.
Non molto a dire il vero, ma quanto basta per definirlo "spumeggiante".
Questo a un occhio poco accorto, non a uno come quello di mio papà, espertissimo a suo modo di mare e delle sue peculiari caratteristiche.
Allo sguardo di mio papà sarebbe sembrato sicuramente più pericoloso di quanto non sembrasse apparire.
Lui osservava il colore. Anzi, il susseguirsi delle differenti gradazioni di colore che lo differenziavano in più fasce nette e distinte, e poi comunicava il suo responso incontestabile.
Fate attenzione, avrebbe con voce allarmata avvertito, il mare è agitato sotto! si vede dal colore. Quando è così è molto pericoloso, perchè tende a risucchiare. Se proprio vi volete fare il bagno restate a riva e non vi allontanate. E non giocate con il pallone, e comunque se finisce in alto mare non cercate di recuperarlo!
Come sempre noi avremmo ubbidito seppure adulti, ridendo di cuore della sua continua e perenne preoccupazione.
Negli anni non gli avevamo mai dato motivo o ragione di preoccuparsi.
Gli anziani vanno ascoltati sempre, ci era stato insegnato.
Papà poi, andava ascoltato qualsiasi cosa avesse sentito bisogno di dirci.
Non parlava molto, e forse questo eravamo particolarmente attenti alle cose che ci diceva.
Con figli in aggiunta il suo avvertimento più che accorato era imperativo: Non fate fare il bagno ai bambini. Può essere pericoloso se si allontanano, e non fateli giocare con il pallone nemmeno sulla spiaggia.
Nemmeno lontanamente dunque, ci si sarebbe sognati di disobbedirgli.
Anche sapendo che non ci avrebbe visto, dato che sulla spiaggia non è mai sceso.
Eravamo comunque certi che sarebbe stato in tesione fino al nostro rientro dal mare, perché una volta tornati, il suo viso seppure senza che fosse accompagnato dalle parole, si rischiarava all'improvviso appena oltrepassato il cancelletto di ingresso esprimendo tutto quello che la voce non aveva pronunciato.
Era rimasto per tutto il tempo dal rientro dall'aver fatto la spesa fino al nostro arrivo, seduto fuori al balconcino leggendo il giornale ma con occhio vigile, con solo brevi fughe per obbedire agli ordini perentorï "suo generale" personale.
Generale che lo prendeva in giro, ma che non riusciva a distoglierlo dal suo compito principale: attendere il nostro arrivo per essere certo che il mare non ci avesse portato via.
I ragazzi sono arrivati!
E questo concludeva la sua personalissima mattinata nel corso della quale avveniva fino a che gli è stato possibile, la lettura del giornale anche la eventuale compilazione di un qualche cruciverba.
Oggi il mare è spumeggiante, e i colori che si susseguono mi confermano che sarebbe stata una delle giornate nelle quali essere vigili e all'erta.
Meglio non fare il bagno.
Non ho fatto il bagno. Nè noi ragazzi nè i bambini.
È vero anche che non ci sono più nè quei ragazzi nè quei bambini.
Troppo tempo trascorso e troppe cose cambiate.
Cambiate e anche scomparse.
No, non ho fatto il bagno.
Non ne avevo voglia.
Sono ritornato a casa sorridendo pensando che papà, per sapere che si era rientrati tutti sani e salvi non avrebbe dovuto attendere il cigolio del cancelletto che si apre.

venerdì 27 agosto 2010

Recuperi da un vecchio taccuino. 2

Un giorno di agosto del duemilaotto.
Ho parcheggiato l'auto in Via Caetani.
Di fronte all'edificio che ospita il "Liceo Ginnasio Pisacane".
Un vero edificio scolastico costruito per essere tale, e non una delle solite abitazioni adattate a scuola.
Sapri.
Estate 1969.
Quello che fu definito come anno dell'invasione di Praga da parte delle truppe sovietiche.
Al posto del liceo c'era un castagneto.
Mi sembrava immenso. Non era recintato.
Potevo entrarci e sedermi sotto quegli enormi alberi ricchi di foglie.
Eravamo, quell'anno, in casa affitto.
D'altronde come abitualmente accadde fino all'estate del 1971.
L'anno successivo, il 1972, papà comprò la casetta a "Le Ginestre" che fu pronta solo per le vacanze dell'agosto successivo.
Il 1972 si restò in città.
Una "villetta" con giardino, come la mamma aveva sempre desiderato avere, a soli tre chilometri di distanza.
Villammare.
Comune di Vibonati. Mai sentito prima.
Nè l'uno nè l'altro.
Fu dato fondo, per l'anticipo, a tutta la disponibilità liquida compresi i pochi soldini che alla sua morte la nonna Emma, la mamma di papà, aveva lasciato a noi due fratelli.
Trecentomila lire cadauno.
A quell'età e in quegli anni erano un vero tesoro!
Con la mia parte avevo pensato di comprare una auto usata, ma vi rinunciai volentieri.
Non ci fu imposto. Ci fu chiesta la nostra disponibilità e noi aderimmo di slancio.
Il resto fu saldato con un mutuo.
Alloggiammo, in quell'estate del millenovecentosessantanove, in un appartamento ancora non completato internamente e non rifinito dall'esterno.
La proprietà era della famiglia D'Amico.
Il figlio dell'anziano padrone di casa, la cui famiglia abitava in un altro quartino dello stesso palazzotto, aveva un bar trattoria pizzeria proprio sul lungomare.
Prima di concludere l'accordo per quell'estate, durante i mesi precedenti ci recammo lì due o tre volte trascorrendovi l'intera domenica.
Una volta arrivare a Sapri non era facile come ormai oggi.
Un buon tre ore di percorso una parte del quale composto di una strada in discesa distribuita tra curve e tornanti.
Solo superato il cartello che annunciava l'arrivo in località "Timpone" ci si poteva dire arrivati. Sbucando dall'ennesimo tornante si scorgeva finalmente il mare!
Queste nostre gite domenicali ci vedevano corredati, oltre che della ghiacciaia che consisteva in un grosso contenitore verde scuro dove venivano sistemate le bevande e il cibo che doveva mantenersi al fresco, anche di una specie di valigetta rigida che comprendeva ben sistemati al suo interno piatti, vassoi, termos per la pasta, contenitori, stoviglie, oliera-acetiera-saliera; completava l'armamentario il tavolino pieghevole che nascondeva al suo interno le quattro sedioline necessarie per sedersi e mangiare, appena la "tavola" fosse ben stata apparecchiata.
Alla fine di ogni mattinata trascorsa sulla spiaggia, era già tutto pronto per il pasto domenicale.
Occorreva soltanto "montare" la sala da pranzo all'aperto cercando uno spiazzo pianeggiante con la disponibilità un albero fronzoso sotto il quale sistemarsi.
Per noi ragazzi tutto questo era il frutto di una magia speciale e meravigliosa.
I nonni materni, hanno vissuto in casa con tutti noi e poi una volta messo famiglia noi nipoti con mamma e papà fino all'addio, vivevano queste "fughe" che ho scoperto solo più tardi essere necessarie, come un abbandono.
In particolare nonno Federico le criticava con il sarcasmo di cui era solito quando, per la sua timidezza cercava di trovare una maniera alternativa per manifestare il suo dispiacere nel restare da solo. Sopratutto di domenica.
Criticava queste iniziative con la frase "Anche oggi se ne vanno a fare il picchinicchi!"
Il castagneto dunque, non c'è più.
Al suo posto c'è l'edificio scolastico sede del Liceo Classico "Pisacane".
Mi ci andavo a rifugiare quell'estate, in quel castagneto.
Tutti i giorni del mese d'agosto.
Sotto gli alberi restando lì per tutto il pomeriggio, mentre in casa tutti dormivano il sonnellino del dopo pranzo.
Il castagneto non c'è più.
C'è rimasto però quel ragazzino di quattordici anni - l'ho rivisto scendendo dall'auto -senza altri amici che la sua bicicletta rosso fuoco con tutta la disperazione di quegli anni.
I quattordici anni del millenovecentosessantanove.
Un ragazzino che si guarda intorno e seduto a terra sotto un albero aspetta che arrivi la sera.
...e la sera alla fine, sta lentamente arrivando.....

Recuperi da un vecchio taccuino. 1

Il mare questo pomeriggio è un bel più che semplicemente "increspato".
A definirlo agitato non si ha timore di esagerare.
Non mancano, come sempre, i temerari.
Adulti, ragazzi, bambini: fendono con entusiasmo ingenuo e inconsapevole le onde che si infrangono sulla spiaggia, infilandosi nella bianca spuma dirompente di acqua.
Seduto su di un sasso osservo il mare; sento il vento infilarsi tra le pagine del taccuino; ascolto l'incomprensibile accavallarsi di voci.
Penso a quei fortunosi e forse troppo spesso sfortunati salvataggi di chi nel trarre in salvo sconsiderati bagnanti ci ha rimesso la vita.
Non mi reputo così idiota come quelli che continuano a infilarsi nell'acqua tra le onde sempre più invadenti.
Se decideste di non ritornare più a galla, non abbiate timore.
Sono qui proprio per raccontare in giro come è successo.
La vostra imbecillità non resterà nascosta.

Piccole pillole quotidiane….

Chi non conosce la verità è uno sciocco.
Ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente.

Bertold Brecht


Nel paese della bugia, la verità è una malattia.

Gianni Rodari

Ci pisciano addosso e ci dicono che sta piovendo

Detto catalano

In tempi di menzogna universale, dire la verità diventa un atto rivoluzionario.

George Orwell

C'è un solo modo per vedere realizzati i propri sogni: svegliarsi.

Paul Valéry

domenica 8 agosto 2010

Il basilico.

"Trattoria pizzeria D'Amico."
Il figlio del proprietario dell'appartamento che papà aveva affittato per il mese d'agosto ne era il proprietario, il gestore e il pizzaiolo.
Noi ragazzi non si partecipava alle riunioni preliminari.
Il dove saremmo andati in vacanza lo avremmo saputo solo in un secondo momento.
Il 1968 fu a Sapri.
Una volta stabilito il luogo, funzionava che ci si metteva in macchina, si raggiungeva il posto stabilito, e una volta arrivati si partiva alla ricerca del "sensale". Colui o colei cioè, che avrebbero messo l'aspirante villeggiante in contatto con il padrone del quartino.
Gli hotel erano cose per ricchi e forse per famiglie senza figli, o per chi durante la vacanza viaggiava oppure aveva pochi giorni di ferie. Noi si aveva uno spirito stanziale, andavamo in vacanza per tutto il mese, eravamo in quattro e noi due, seppure ragazzi ormai troppo grandi per usufruire delle riduzioni che praticavano pensioni e hotel per i bambini.
Già da qualche anno ormai, si trascorreva il mese di agosto in casa affitto dando l'idea, al momento della partenza, di starai a preparare per un trasloco.
La speranza di ogni affittuario era che il quartino rimanesse sfitto per il mese di luglio, così che si potesse anticipare l'arrivo qualche giorno prima. In subordine che l'inquilino precedente andasse via almeno al 30 del mese per evitare il traffico dell'ultimo giorno.
Speranza sistematicamente disillusa, ma nella quale si credeva fortemente fino all'ultimo. Alla fine si partiva il 31 con la ferma convinzione di aver comunque guadagnato un giorno.
Dunque il 1968.
Sapri.
L'anno dell'invasione di Praga.
Agosto 1968: il mese e l'anno dell'invasione di Praga, per essere precisi.
Papà si era regalato da qualche tempo una radio portatile che teneva gelosamente sul comodino per accenderla appena sveglio; era il suo primo e unico bagaglio che preparava, insieme alla scorta di pile di ricambio. Le portava anche se le aveva cambiate da poco. Aveva la radio con sè anche quel giorno - aveva una particolare passione per la musica e le canzoni tanto da spingerlo a portarla sulla spiaggia - e la notizia ci raggiunse mentre si era sotto l'ombrellone. Non so se fu per la notizia o per quale altro motivo, la radio finì in un secchio pieno di acqua di mare. Alla iniziale disperazione fece seguito la consolazione che l'incidente non aveva pregiudicato nessuna delle sue funzionalità.
Quell'estate la trascorremmo dunque in un appartamentino in fitto. Un "quartino" all'interno di un edificio non ancora completato e tutto di dei D'Amico. I soldi del fitto occorrevano al proprietario per terminare i lavori. Anche quelli di papà finirono dunque per contribuire al completamento dell'opera. Il 968 fu l'unico anno in cui andammo in villeggiatura a Sapri prima che diventasse, cinque anni dopo, il nostro luogo di vacanza definitivo; in quell'anno, complice il luogo, la possibilità di acquisto facilitata da uno sviluppo turistico ancora in fasce, dalla morte della nonna paterna poco tempo dopo che consentì una breve ma necessaria disponibilità economica, si determinò la scelta definitiva delle nostre estati a partire dal 1973 in poi. L'anno prima infatti, e il 1972 fu l'unico nella storia della nostra famiglia, non si andò in vacanza perché papà aveva investito tutta la sua disponibilità economica - e noi due ragazzi dunque partecipammo con la piccola cifra che ci era stata destinata dalla nonna Emma, trecentomila lire ciascuno, che ci aveva lasciato poco tempo prima - nell'anticipo per l'acquisto di una minivilletta in un villaggio di case estive nella frazione marina del comune che precedeva Sapri di soli tre chilometri. Villammare. Fu la casa delle nostre vacanze.
In quel periodo le "passeggiate", come venivano definite, a Sapri furono diverse fino alla conclusione della trattativa. In quelle occasioni ci si fermava a mangiare da D'Amico. La trattoria pizzeria che ci permetteva di utilizzare un suo tavolo sul quale consumavamo quello che la mamma aveva preparato e infilato nella valigia "Jostyle" complice di tante scampagnate precedenti. Compravamo solo le bibite: acqua, Coca-Cola e birra rigorosamente Peroni. A volte la pizza? Questo non lo ricordo. Di certo quello che ricordo è che la pizza che D'Amico preparava personalmente, mancava del basilico. Cosa questa, che per un napoletano equivale a rendere banale la pur migliore pizza del mondo. Il basilico fuori stagione, ci venne raccontato, era impossibile da trovarsi a Sapri.
La mamma non si lasciò sfuggire l'occasione per manifestare la nostra e la sua personale gratitudine per l'ospitalità che in nome della vecchia conoscenza avuta nel corso dell'estate del '68 ricevemmo, e decise che gli avremmo portato ottime piantagioni di basilico napoletano nel corso di tutte le passeggiate che ancora sarebbero seguite nel tempo.

Lascio scorrere la persiana del balcone lentamente prima di chiudere la casa e lentamente scompare al mio sguardo la piantina che al rientro dalle vacanze, sono in partenza per Villammare e sono ormai trascorsi trentasette anni da quella promessa solo in parte mantenuta, troveremo disseccata. Le foglie migliori e più ricche le ha staccate Anna per surgelarle. Far seccare così, abbandonando al suo destino quel verde saporoso sarebbe un delitto. La Trattoria Pizzeria D'Amico non esiste più. Forse i nipoti di quello che fu il nostro "padrone di casa" oggi fanno altro. Forse hanno cambiato paese. Non saprei dire nè in verità mi preme saperlo.
Mancano ormai tante cose dopo trentasette anni, che raccontarle tutte diventa impossibile. Tante, tantissime forse troppe sono anche le cose che sono cambiate. Una sicuramente.
Oggi, anche fuori stagione, il basilico a Sapri troneggia festosamente sulla pizza e non c'è più bisogno che qualcuno lo porti appositamente da Napoli.

L’anniversario

Quello importante, come in una qualsiasi "vigilia"che si rispetti, era il precedente; il tre luglio; il giorno in cui tutto aveva avuto inizio.
Quello della preparazione.
Preparazione intesa in senso generico come in una vera e propria anteprima di quello che sarebbe stato il giorno del silenzioso ripetersi del fatidico "si!", fino al raggiungimento del "venticinquesimo", non c'è mai stata una seppur breve cerimonia in chiesa.
Quando il 4 luglio capitava in uno dei cinque giorni della settimana diversamente che di sabato o di domenica, era già sicuro che papà sarebbe rientrato dal lavoro nel corso del primo pomeriggio.
Vederlo rientrare a casa prima che fosse già buio, o comunque già tramontato il sole, per noi ragazzi era di per sè già una festa.
La mamma avrebbe avuto come sempre un bel da fare per preparare lei, noi e sopratutto decidere cosa avrebbe dovuto indossare lo "sposo" per la serata fatidica.
Serata che consisteva nell'unica volta all'anno in cui si andava a mangiare al ristorante.
Occasione questa, che noi due non ci saremmo persi per niente al mondo.
Sapevamo che per papà era un momento di grande festa, e da come io ricordi, fino a quando gli è stato possibile ha fatto di tutto perché quel giorno rimanesse tale; non vi ha rinunciato neanche nei momenti più difficili che ha attraversato la nostra famiglia.
Difficili dal punto di vista economico, intendo dire.
Poi da un bel momento questa tradizione ebbe termine, anche se non saprei dire perché.
Forse non fu un vero e proprio terminare quanto una specie di cambio.
Dopo aver comprato la casetta di Villammare, fu spostata lì la sede dei festeggiamenti. Mai più però andando a mangiare fuori, fino al cinquantesimo.
Nel periodo napoletano il ristorante fu sempre lo stesso.
Non sarebbe potuto essere diversamente visto il forte senso della tradizione esistente in famiglia.
A Bacoli; non ne ricordo il nome.
Si cenava all'aperto, sotto un enorme tendone che ricopriva tutti i tavoli.
Nel corso dei primi anni e nel periodo in cui iniziammo a far parte della cerimonia, la mamma ancora non aveva deciso che al papà facesse male stare fuori di sera, sopratutto per mangiare.
Il tempo della "reclusione" sarebbe arrivato dopo.
Un'altra tradizione fissa era quello che si sarebbe mangiato.
Oggi non ricordo proprio tutto, ma due sono le cose di cui sono sicuro.
L'"impepata" di cozze, che era appannaggio soltanto della mamma.
Nessun altro avrebbe "dovuto" mangiarne.
Sua convinzione era che le cozze a chi di noi avesse anche solo sfiorato l'idea di mangiarne una, avrebbero provocato malattie terribili e mortali.
Lei invece poteva a volontà perché ne era totalmente immune.
Una convinzione anche questa? Mah! Sicuramente un inganno. Aveva paura che ci facessero male, e s'inventò questa strana storia. In verità succedeva spesso che mangiasse cose impossibili a immaginarsi per noi a quell'epoca, senza subirne alcuna conseguenza. Il che per quel che potevano capirne noi, era senz'altro vero.
Cioè non aveva mai conseguenze da quello che mangiava.

Dunque di una delle due pietanze ho detto, l'altra era il "pollo alla diavola".
Per tutti gli anni in cui è stata rispettata questa tradizione della cena dell'anniversario dunque, non si è mai derogato da questi tre sani principi: ristorante a Bacoli sempre lo stesso; impepata di cozze, pollo alla diavola. Non ricordo se e chi prendesse anche il primo. Forse spaghetti alle vongole e per noi due ragazzi la pizza, ma di questo ne ho un ricordo un pò sbiadito.
Acqua di fontana, Coca Cola per noi e la birra rigidamente Peroni per loro adulti.
Durante il viaggio di andata e quello del ritorno poi, era un susseguirsi di scene e immagini del fatidico giorno di quell'anno addietro, raccontate con un entusiasmo che la riportava indietro nel tempo;  quello in cui si scambiarono il loro si.
Fino a quando questa tradizione è stata mantenuta, oltre a un breve cenno di trucco era solita indossare anche alcuni dei suoi gioielli, tra i quali non mancava mai "l'anello di fidanzamento".
Quell'anello è sempre stato per lei un punto fermo. La pietra miliare della sua vita quasi più che la stessa fede nuziale.
Da un bel giorno in poi tutto rimase conservato nel cassetto.
Si, perché quella della mamma fu una vita di voti. Tutti dedicati al papà perché era su di lui solo che si poggiava la nostra sopravvivenza, ed anche una semplice influenza avrebbe potuto causarci problemi.
Poi un bel giorno tutto finì conservato in banca. La scusa fu la paura dei ladri, ma forse la verità era nel non sopportare la vista di quegli oggetti preziosi ai quali aveva rinunciato per sempre.