venerdì 20 giugno 2008

Adele

Alta, magra; un fisico snello.
I capelli di un bel nero corvino divisi in due lunghe ciocche che scendevano dal cappellino con il nome della ditta fino a coprirle le orecchie.
Si muoveva svelta; nervosa nella ripetizione meccanica della stessa azione.
Adele lavorava da quasi un mese al self-service della stazione. Ripuliva i tavoli. Sistemava i vassoi frettolosamente abbandonati dai viaggiatori, in quello strano silos che spingeva come una carrozzina in una nursery; ripuliva velocemente il tavolino e via daccapo.
Strano; da bambina aveva sempre pensato che con quel nome fosse destinata ad altre cose.
Si vedeva insegnante circondata da tanti bambini in una scuola elementare con un giardino bellissimo pieno di alberi e fiori.
Sì, se avesse potuto scegliere avrebbe fatto la maestra. Ma Adele aveva capito da tempo che sarebbe stata la vita a scegliere per lei; era sempre stata scelta.
Anche questa sera avrebbe finito il suo turno e poi sarebbe andata a cambiarsi. Avrebbe indossato quella gonna comprata a saldi che rendeva giustizia al suo fisico longilineo pavoneggiandosi nello specchio.
Ma chi l'avrebbe notata? Adele usava non dare molta attenzione ai suoi colleghi di lavoro; preferiva evitare, con loro, qualsiasi rapporto fuori di quei tristi locali.
Anche con le donne aveva poca confidenza. La sua timidezza le faceva correre il rischio di lasciare intendere una altezzosità o superbia che non aveva mai avuto.
Nessuno ad attenderla, fuori.
Ogni sera tornava a casa stanca e sfinita ed avrebbe voluto sdraiarsi a riposare; magari davanti alla televisione oppure con quel libro che ricominciava a leggere continuamente daccapo senza mai riuscire a terminarlo.
Una volta a casa Adele aveva da accudire la mamma ed i suoi due fratelli più piccoli. Non v'era altri che lei a poterlo fare.
Il babbo era andato via ormai da qualche anno. Un'auto che a tutta velocità gli era piombata addosso mentre attraversava la strada glielo aveva tolto quando ancora avrebbe avuto bisogno di lui.
Quasi un mese tra la vita e la morte. La mamma non si era più riavuta dal dolore. Lei aveva dovuto abbandonare la scuola e provare a cercarsi un lavoro.
Ne aveva avuti diversi; forse quest'ultimo poteva essere quello buono. Nella sua testa pensava sempre al giorno in cui qualcuno sarebbe venuto a strapparla via da quell'angoscia. Avrebbe portato con sè la mamma; avrebbe avuto di che pagare qualcuno che la accudisse.
Anche i fratelli sarebbero venuti con lei fino a che fossero riusciti a trovare un lavoro ed ad andar via per la loro strada.
Lei non avrebbe più fatto il lavoro alla mensa della ferrovia. Sarebbe riuscita a completare gli studi; voleva diventare maestra.
Ci sarebbe riuscita. Avrebbe avuto dei figli suoi da accudire e non avrebbe più avuto i piedi così stanchi e doloranti.
Quando Adele si risvegliò con l'acre odore del latte bruciato sui fornelli, si rese conto che la stanchezza aveva avuto il sopravvento.
Si era addormentata sulla sedia con indosso ancora la gonna "bella".
Da dentro una voce triste pronunciava sommessamente il suo nome con una disperata intonazione.
Si ricominciava; era già l'indomani.

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