giovedì 19 settembre 2013

Claudio non c'è più.

Ventisei anni.
Non conoscevo Claudio.
Ho saputo di lui, della sua storia, delle sue vicissitudini  uno o due giorni prima che se ne andasse.
Poi il racconto del suo funerale, una incursione in Youtube sui suoi video: i suoi pensieri, il suo modo di vivere la malattia, di comprendere la sua vita.

Ventisei anni: pochi? Tanti? Gusti?
Quanto può, quanto deve durare una vita perchè non restino rimpianti negli amici, nei parenti, negli affetti?

Ventisei anni o cento: non è possibile stabilire, immaginare quanto sia il giusto da vivere; qualsiasi età appare comunque troppo breve.

Un anno terreno possono diventare cento davanti a Dio: quale è dunque il tempo da trascorrere sulla terra?
Chi ha fede sa che il numero degli anni conta poco o nulla.

È la qualità e non la quantità a contare.
Non è neanche sapere come e perchè si parte.
Un incidente? una malattia? un imprevisto?
Solo un dato per gli statistici che si aggiunge ad altri per arricchire i grafici.
Per chi va via il rapporto sarà sempre e comunque tra il dare e l'avere, e il dare dovrà essere stato necessariamente superiore all'avere.

Per Dio basta poco per capire se quel tempo trascorso in terra è stato sufficiente per essere giudicati.

Resta il dolore: profondo? incancellabile? in chi rimane.
In chi resta il rammarico non è per il poco tempo trascorso insieme.
Il rammarico è una emozione, è un valore di giudizio personale, soggettivo.
Frutto di una valutazione che si fonda su valori empirici.

Lo sconforto, il senso di ingiustizia che pervade l'animo quando a restare sono i genitori che vedono, sentono un figlio andar via è profondo!

E non è immaginabile quanto sia grande il dolore se non pensando a Maria che resta a guardare il Figlio suo sulla croce abbandonarsi al Padre.
Ed è quello che ha fatto Claudio!
Difficile comprenderlo e accettarlo.

Di un Dio giusto è impensabile credere che possa commettere ingiustizie! 
Ma è altrettanto difficile riuscire a capire quale sia il disegno che coinvolge quel figlio, quei genitori, quegli amici.

Un disegno per il quale quel Dio ha deciso che quel ragazzo di ventisei anni debba essere artefice, assumendosi dal momento della sua partenza in poi una responsabilità grave, grande, che coinvolge chi è rimasto nel suo ricordo, nelle sue ultime immagini, nelle sue ultime parole.

E se Maria ci ha spiegato che se appare contro natura per un genitore sopravvivere a un figlio, ci ha anche insegnato che quando questo accade deve essere accettato perchè impotenti davanti a un volere superiore.

A ritenere ingiusto morire a ventisei anni, a pensare che una vita debba durare più a lungo, essere costellata da successi, arricchita da moglie, marito, figli, danaro siamo soltanto noi che pensiamo alla vita terrena come il raggiungimento del fine per il quale siamo nati.

Ma noi siamo nati da una colpa, ed è per espiare quella colpa che trascorriamo il nostro tempo.
Non per altro: chi ha fede crede questo.
Quanto occorre per l'espiazione?

Se fosse dato saperlo non saremmo stati invitati a prepararci al rendiconto.
A stare all'erta mantenendo le lampade accese o a vegliare la casa senza gozzovigliare pensando che il padrone tardi ad arrivare.

Se viviamo nell'ottica della volontà di Dio e non in quella dell'uomo, allora sì che si può accettare anche la partenza di Claudio al raggiungimento dei suoi ventisei anni terreni con serenità e con una giusta partecipazione, confrontandosi con i suoi ultimi sorrisi, le sue parole di conforto, le sue per gli altri!, manifestando non una rassegnazione a un destino crudele ma avendo la consapevolezza che ha  raggiunto il suo obiettivo.
Ci riusciremo noi?

A chi è rimasto deve restare viva la sua immagine e le sue parole, difficili da ascoltare in situazioni come quelle che Claudio è stato costretto ad affrontare.
Forse troppo giovane negli anni ma già maturo per essere da insegnamento a tutti gli altri.

Forse è più facile accettare una morte violenta che quella che si ravviva giorno dopo giorno.
Però è quest'ultima che serve da monito, e non la prima.

Perché a non tutti è data la possibilità di sapere prima, di verificare se si è davvero preparati al rendiconto.
E Dio ha così tanto amato Claudio da dargli modo di prepararsi al rendiconto e cingersi i fianchi, per accompagnarlo così con la sua stessa mano e il suo sguardo alla fermata d'arrivo: quella che da inizio alla vera vita.

E ce lo mostra ad esempio perché impariamo che la vita che conduciamo potrebbe non darci il tempo per pentirci.

E quando è questo quello che accade, a buon ragione nasce  una eterna e infinita recriminazione perché tutto si è compiuto in una apparente fretta.

Troppo: sapendo che lo sposo è giunto durante la notte e ha trovato la sua sposa con lucerna spenta per la stoltezza che ne ha permeato la vita.
Lunga...? breve...? chissà!

Puoi pigiare in questo punto per vedere e ascoltare le parole di Claudio.

E dopo anche il questo punto: vedrete e scoprirete Claudio; e potrete vedere anche altri filmati.


venerdì 13 settembre 2013

Fine settimana di settembre... era il 2006 e a Sapri c'era stata la festa di San Pio da Pietrelcina...

L'avergli rubato quello che sarebbe stato il suo ultimo fine settimana insieme, è un peso che resterà vivo e presente nell'animo per tutto il resto della mia vita.
Non ci sarà tempo sufficiente per poterne assorbire o almeno ammorbidire il dolore.
Le immagini di quei giorni tra il 22 e 25 settembre appaiono da allora con sistematica puntualità ogni giorno.
Come una pellicola senza soluzione di continuità come quando l'ultimo fotogramma si ricollega al primo.
Io partito quasi furtivamente invece di essergli accanto come tutti i sabato, e lui lì in una inutile speranzosa attesa di un ripensamento che non ci sarebbe stato.

Dovrei provare sofferenza quando sono qui, dove ora mi trovo e sto scrivendo questi pensieri, eppure non è così.
…guarda…. che strano... è nuovamente settembre….
...tra qualche giorno sarà di nuovo la festa di San Pio... io non ci sarò... sarò distante da quello slargo a lui dedicato dove verrà celebrato il suo ricordo...

Perché è qui che lo rivivo con i suoi ultimi teneri sguardi che mi rivolgeva sempre sorridenti, pur se in una sofferenza che non manifestava.
Neanche negli ultimi giorni…. ed è stato forse questo l'inganno in cui sono caduto….!

È qui che è stata l'ultima volta in cui m'è apparso felice poco più di un anno prima.
È qui che il pensarlo lo riconduce spensierato, pieno di voglia di fare, di dire...

Di poi non più!
Poi è stata una lenta agonia fino alla fine.
Fino a quel fine settimana che come un ladro gli ho rubato.

E lui è andato via senza salutarmi, quasi come a punirmi... e sarebbe stata la prima e ultima volta che lo avrebbe fatto....! la più dolorosa e la peggiore perchè senza possibilità di chiedere scusa... con le sue ultime parole che continuano a risuonarmi ossessive "Ci vediamo lunedì?"
E quel mio sì insincero e insicuro che non riuscirò mai a perdonarmi e che continua ad angosciarmi.

Non era cominciato molto bene quel fine settimana.
L'automobile si era fermata alla sommità della salita che conduce a casa; proprio al centro dell'incrocio.
Era mezzanotte trascorsa da un po'! 
Colpa della batteria.
Il sabato impiegato tra carrattrezzi e officina.
La consegna e il montaggio dei nuovi mobili ai quali mancava qualcosa.

Il giorno dopo, domenica, il rientro... e poi durante la notte lo squillo del telefono….
Erano forse le quattro del mattino… poco dopo poco prima…. non importa….
Non era la prima volta....
La voce conosciuta e tremante che annuncia dopo tanti inutili allarmi quello definitivo.
Quella notte fu l'ultimo.
Il più angosciante, quello che aspettavo arrivasse il più tardi possibile non potendo evitare che non arrivasse mai….

In ogni caso non quella notte.... non è giusto, pensai...!

No, non sono "solo" quando vengo qui senza nessun altro oltre me così come altri credono.

Il mio desiderare di essere qui è perché è qui che posso pensarlo com'era.
In nessun altro posto potrei più ormai perché era qui che si sentiva libero.

Era qui che veramente godeva della sua felicità ridiventando bambino.
La sua casa ormai è dove sono io e io voglio essere qui e voglio che questa rimanga la sua casa per sempre.
Come e dove potrebbe mai cercarmi... trovarmi altrimenti!?

Nessuno potrà portarmi via questa casa e da questa casa finchè vivrò!
Nessuno mi farà mai più andar via da qui di domenica…..



giovedì 12 settembre 2013

Bar e Tabacchi!


Giacinto camminava pensieroso borbottando, tra sé e sé: gli mancavano cinquanta centesimi per le sigarette.
Non fumava da quasi tre ore, e sentiva una sensazione violenta di astinenza.

Il bisogno di fumare lo stava irritando tanto non vedere quello che gli accadeva intorno; non si accorse neanche di Felice, che offriva alla vista il suo baschetto con dentro qualche moneta tanto per invitare i passanti, chiedeva l’elemosina proprio all'angolo della piazza.
Felice usava sistemarsi proprio accanto al varco di ingresso del bar “Il Paradiso del café” di Nicola.
Era convinto che quello fosse un buon posto.
Chi mai, dopo aver sorbito un buon cafè più, non si sarebbe sentito tanto in pace con se stesso e con il mondo da rifiutargli qualche spicciolo uscendo dal bar?
Praticamente quasi tutti.
E questa cosa tormentava molto il suo cuore.

Il brav'uomo però, che non riusciva a rassegnarsi ad un'idea a dir poco… infelice, diabolicamente nemmeno smetteva di insistere cercando un luogo alternativo.

Giacinto era frettolosamente uscito dalla tabaccheria di Eulalio posta proprio di fronte al bar, rammaricato dell'importo insufficiente: maledizione ai centesimi! continuava confendere i venti con i cinquanta centesimi di euro; sembravano tutti uguali e aveva sbagliato il conto.

Chissà perché aveva lasciato a casa il portafogli!
In un primo momento si era convinto di aver subito un furto con destrezza, ma ben presto, andando a ritroso con la mente realizzò con rammarico che nella fretta di uscir di casa lo aveva lasciato sullo scrittoio in camera da pranzo.

Borbottando a mezza voce aveva raggiunto Felice che non desisteva di provare a indurre a pietà i passanti.
Vedendo arrivare Giacinto e sperando in un gesto di improvvisa generosità, generosità sulla quale nessuno di coloro che lo conoscevano avrebbe mai scommesso un centesimo, gli si fece da presso osando sussurrargli timidamente “Qualche spicciolo per le sigarette, signore?”
E dicendo questo offrì alla sua vista il cappellino con le monetine.
Il volto di Giacinto si illuminò.
Sorridente ringraziò Felice riptutamente e si scelse quanto bastava per raggiungere l'importo mancante – due monetine da venti e una da cinque,  e di corsa entrò nella tabaccheria e trionfante ordinò il suo sospirato pacchetto di BIS.


martedì 3 settembre 2013

UN BUON CRISTIANO.

Che si trattava del vicino di panca, magro, giacca grigia, jeans ben stirati, cravatta, capelli neri ben sistemati, occhiali senza scheletro seduto proprio alla sua destra durante la celebrazione eucaristica della domenica appena termninata, non aveva alcun dubbio.

Avevano recitato il "Padre Nostro" tenendosi per la mano: la sua destra nella sinistra dell'altro.
Il sacerdote sull'altare aveva appena terminato il suo "Scambiatevi un segno di pace" e lui gli si era rivolto sorridendogli e augurandogli un festoso "La pace sia con te".

Uscendo erano rimasti lui dietro l'altro fino all'ultimo scalino.
Le loro auto erano parcheggiate nel cortile della chiesa una accanto all'altra.
Lui aveva una Fiat Panda vecchio tipo, l'altro una Alfa Romeo.
Non sapeva dire quale modello: davanti le Alfa sembrano tutte uguali, sono diverse dalla metà al cofano.

Si fermò pensoso, chiavi in mano senza aprire la portiera dell'auto e incrociò il suo sguardo fissandolo negli occhi e l'altro riuscì a capire tra i denti mormorava "Maledetto sporco negro! Dovrebbero cacciarvi tutti da dove siete venuti!"