venerdì 16 maggio 2008

Immagini che affiorano

Non è certo la prima volta da allora che apro il cassetto del comò dove sono riposti quelli che s'usano definirsi gli "indumenti intimi", ma per un qualche strano motivo è la prima, da quasi due anni, che mi compare dinanzi agli occhi la custodia dove è riposta la mia Melodica a fiato.

Solitamente sconfinata in fondo al cassetto ed a sua volta sovrastata da pigiami, calzini e quant'altro di estremamente privato in esso vi possa essere riposto.

Non so suonare; non ho mai saputo suonare né, a parte la classica sequenza mnemonica del loro susseguirsi, conosco le note.

Non le "conosco" nel senso di riconoscerle una volta che escono fuori da un qualsiasi strumento atto a produrle.

Anche il canto, non essendovi mai stato educato, non è parte delle mie abilità od arti; seppur sommerse.

Eppure ero ancora un ragazzo quando me ne volli approvvigionare nella speranza di riuscire, con un iperbolico quanto fantomatico impervio autodidattismo, a tirarvi fuori un insieme organico di suoni conformi all'intendimento del suo costruttore; insomma un perenne decennale nulla di fatto.

Mi viene ancora dinanzi, come in un flash-back cinematografico, una immagine che ripetutamente si affaccia in alcuni dei miei momenti di solitudine.

Era di sera; nella zona del conservatorio "San Pietro Maiella" e più precisamente in via San Sebastiano.

Il negozio era uno di quelli poco prima dell'incrocio con via Port'Alba, sulla destra salendo.

Non ricordo il nome.

Mio papà aveva ancora il 128 bianco della ditta.

Io avevo con cura conservato i soldi per quello che consideravo il mio magico regalo.

L'ho suonato; certo che l'ho suonato. Da subito, già nell'auto tornando a casa.

A modo mio; cercando di cavar fuori qualcosa di piacevolmente armonico seppure solo alle mie orecchie anche se non somigliante a nulla di esistente.

È sempre stato un po' come accade per i ciechi che vivono di immagini personali, costruite sulla base della loro fantasia ed immaginazione; od i sordi che odono soltanto le armonie prodotte dalle loro sensazioni.

Ecco che io, musicalmente sordo, ho costruito per anni un pentagramma di musiche rispondenti esclusivamente al mio personale armonico ascoltare.

Poi un bel giorno ecco che scopro la sequenza delle note della più classica delle canzoncine natalizie che si insegnano ai bambini: "Bianco Natal"!

Fu grazie al corso di musica frequentato da mia figlia.

Segnai con un pennarello indelebile il nome di ogni nota sui tasti del mio strumento; così come si fa su un foglietto di quaderno, scrissi la loro successione non come sarebbe stato logico fare, ma nell'unico linguaggio a me comprensibile: sol - fa – mi – re, sol - fa – mi –re … e così via cercando di mandar tutto giù a memoria ripetendone la sequenza fino alla noia.

Non mi è mai riuscito di impararla.

Dal Natale di quell'anno in poi, tutti trascorsi insieme a mamma e papà a casa loro, a Napoli, ho portato con me lo strumento per suonarlo dinanzi al Presepe mentre figli e nipoti deponevano il bambinello nella mangiatoia alla fine del percorso che, tutti ben messi in doppia fila, percorrevamo partendo dall'inizio del corridoio per raggiungere l'ingresso l'ingresso; il luogo cioè dove si trovava la grotticella.

Io innanzi a tutti suonando alla stregua del Pifferaio magico, e tutti gli altri indietro come un lungo seppur breve e claudicante esercito di topolini in coro.

Da quell'anno in poi dunque, ogni 24 dicembre pomeriggio, prima che io mi partissi da casa con la famiglia, giungeva la telefonata allarmata del mio papà "Non ti dimenticare il piffero!"

Non era un piffero ma una Melodica a fiato, ma lui la chiamava così.

Poi d'un tratto il Natale non è stato più lo stesso.

Non sarebbe mai potuto esserlo più.

Quella telefonata, il 24 dicembre 2006, non giunse anche se l'impressione di sentirne lo squillo ancora mi raggiunge; so che non potrà mai più arrivare in nessun 24 dicembre pomeriggio a venire.

Avrei voluto suonare lo stesso, quel 24 dicembre sera, ma per la disperazione di non riuscire a far giungere le mie note all'orecchio del mio papà, non ho nemmeno aperto la custodia che lo protegge.

Ora che è riemerso dal fondo del cassetto, si sono riaccese immagini nel frattempo solo anestetizzate.

Rivedo il mio papà ridere per il mio continuo incespicare sui pulsanti; anche lui accompagnava col suo canto quel magico rito del 24 dicembre sera, festoso anche se negli ultimi anni raccoglievo nei suoi occhi insieme alla felicità per un altro Natale trascorso insieme, la tristezza del pensare che potesse essere stato quello l'ultimo.

Il mio strumento a fiato è sempre lì nel cassetto del comò; non ho avuto l'animo di prenderlo tra le mani seppur protetto nella sua custodia; il solo vederlo ha provocato in me come il riaprirsi di una ferita non ancora rimarginata.

Se mi riuscirà di avere la forza di credere che potrà riascoltarne nuovamente il suono, lo riprenderò tra le mani. Per ora è lì.


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