Quella di sabato tredici giugno, nella “sala
ragazzi” della Parrocchia del Santissimo Salvatore di Pompei, è stata una
rappresentazione che fornisce due messaggi: l’importanza della Parrocchia come
centro di coordinamento, aggregazione e stimolo a una crescita sana e cristiana
di ragazzi e adulti di qualsiasi età, troppo pochi rispetto alla platea che il
comune di Pompei propone, ahimè; la aperta dichiarazione da parte dei
ragazzi-attori di voler ancora una volta comunicare, attraverso la finzione
scenica, una realtà che viene accantonata, dimenticata, scartata perché
si pensa erroneamente che non ci appartenga.
Ho visto un pubblico ben attento ai gesti e
alle parole degli attori e ai contenuti dei brani musicali; un pubblico ovviamente
sollecito anche nel cogliere il momento giusto per fotografare.
Un pubblico plaudente all'abilità e alla
bravura sia dei propri “pupilli” che di tutti gli altri, e che ha cercato di non
distogliere mai la propria attenzione dalla storia che andava via-via
sviluppandosi.
Devo dire che ragazzi così bravi nel mantenere
la scena, nel recitare con naturalezza di espressione e nel restare fedeli e
coordinati nei brani musicali e nelle scene di danza ne ho visti pochi. Molto
pochi.
Grande il loro merito per l’impegno profuso e
di coloro che quell’impegno hanno voluto e saputo finalizzare con molta abnegazione e disponibilità.
Non è stata una cosa semplice né per gli uni né
per gli altri conseguire questo successo.
Il considerare le incombenze scolastiche di
fine anno e quelli di lavoro e di famiglia, fa pensare a quanto meraviglioso e
importante sia stato il risultato raggiunto, e di come tutti loro avrebbero
meritato molto di più di quello che la platea composta per la gran parte da
amici, familiari, conoscenti – e come sarebbe potuto mai essere altrimenti,
d’altronde! – ha dato loro quale comunque graditissimo compenso: applausi, grida
entusiastiche, abbracci, fiori e “pizziata” finale.
E al termine della fatica la spensieratezza e
la felicità dell’età e dell’entusiasmo non ha impedito loro di continuare il
gioco e il divertimento.
La stanchezza e la tensione sono state
cancellate con un colpo di… “cassino" allo spegnersi delle luci.
Tutto merito della vita che la Parrocchia che
“abitano” riesce a proporre loro e del lavoro continuo e costante di
perseverante presenza, sostegno morale e aiuto materiale, che viene generosamente
donato indistintamente a tutti da Don Giovanni e Don Giuseppe che non negano a nessuno la loro sorridente
e gioiosa presenza, concertando tutto con gli impegni cui sono obbligati dal
loro ruolo.
Non si è trattata di una recita di fine anno
scolastico, non è stata una manifestazione di abilità dei singoli o dei gruppi,
non era un mix di brani musicali cantati e ballati intervallati da momenti di
prosa. Insomma: non era un festival alla fine del quale decidere chi fosse stato il migliore.
Questo musical arriva da lontano: parte nel
1989 quando Nanni Loy, forse a molti di questi ragazzi personaggio del tutto sconosciuto fino a poco tempo fa,
con il film dal titolo “Scugnizzi” ha inteso narrare le vicende di alcuni dei
giovani detenuti del riformatorio di Nisida a Napoli, impegnati a realizzare un
musical teatrale sotto la guida dell'attore Fortunato Assante.
Attraverso le singole storie dei ragazzi,
rappresentate per quadri, il film porge allo spettatore un acuto punto di vista
sulle difficili tematiche della camorra e del disagio giovanile nel capoluogo
partenopeo.
Il musical, che è stato presentato nel 2002 e
riproposto nel 2011, rielabora quei temi proponendoli in un racconto
realisticamente vicino a tutti noi; oggi nel 2015 quei contenuti sono ancora
disperatamente attuali e spesso drammatici.
Ho visto il pubblico ben attento a comprendere
il messaggio che quei ragazzi hanno voluto trasmettere con il loro impegno.
Bisogna dare credito e spazio ai nostri figli,
appoggiarli nelle loro iniziative; i figli non sono una replica dei genitori,
sono una “evoluzione” dei genitori; non sono ornamenti da mostrare in giro
sottolineandone bravura, abilità, bellezza; non si può fargli ripetere le
nostre esperienze, ma farli partire da quelle senza dirglielo: è del tutto
naturale e innato che lo faranno; occorre prendere a esempio il mondo animale:
fornite le indicazioni principali è opportuno lasciarli liberi di crescere da
soli, di permettergli di sbagliare perché imparino a correggersi; importante è
che sappiano di non essere soli, che in qualunque momento avessero bisogno di aiuto, lo avranno.
La Parrocchia, “questa” Parrocchia di Pompei è
sicuramente un forte punto di riferimento e di supporto anche per i più piccoli che "stanno arrivando".
Non corriamogli dietro per non farli cadere:
basterà essere pronti quando, una volta caduti non riuscissero a rialzarsi da
soli.
O anche per medicare le ferite, piccole o
grandi che avessero subito.
I figli sentono, ascoltano, recepiscono tutto,
poi vogliono provare a vedere se e fino a che punto è proprio così, o se non
fosse possibile un’altra via non pensata prima.
A loro tocca cercare di scoprirle: anche questa
è crescita.
Bisogna solo esserci: dietro sempre, qualche
volta accanto, mai davanti!
Mai smettere di parlare; anche quando ci viene
da pensare di aver gettato parole al vento! mai pretendere assensi o risposte
immediate.
Ascoltarli sempre senza stancarsi mai:
soprattutto quando tacciono!
Il silenzio dei figli è in grado di comunicare
storie di gioia e di disperazione che non avremmo mai pensato di poter
ascoltare.
Non faccio il maestrino, non esiste il manuale
del bravo genitore: racconto solo la mia esperienza, ripensando spesso a dove
ho sbagliato e come avrei forse dovuto comportarmi.
Io non l’ho mai fatto.
I nostri figli sono semplicemente il loro
presente.
Sono il nostro futuro realizzato! e che si
materializza giorno dopo giorno.
Non diamo loro responsabilità pesanti,
insopportabili e soprattutto ingiuste.
Il futuro è una incognita che non è possibile
prevedere o costruire.
Quello che conta ed è importante è che ognuno
di loro, così come ognuno di noi, riesca a essere solo ed esclusivamente il
proprio presente.
Soltanto così è possibile procedere nella costruzione
di un nuovo e migliore oggi, pezzo per pezzo ogni giorno che arriva.
Pensare al futuro deprime, perché il futuro non
appartiene né può appartenere a nessuno di noi.
È solo una ipotesi, un calcolo probabilistico.
Qualche rara volta corretto, il più delle volte
sbagliato e quasi sempre presenta un risultato inatteso.
Questo gruppo di "giovanissimi della Parrocchia del SS. Salvatore" sono davvero meravigliosamente bravi sotto tutti i punti di vista.
E certamente grande merito è anche, anzi sopratutto dei loro genitori e degli educatori che di questa Parrocchia sono a loro volta parte integrante.
Ciascuno di loro con un ruolo e un compito preciso e ben determinato.
Ci sono momenti in cui sembra di aver trovato una oasi in un deserto!
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