venerdì 19 giugno 2015

Il giovanissimi della Parrocchia del SS. Salvatore di Pompei recitano "C'era una volta Scugnizzi".


Quella di sabato tredici giugno, nella “sala ragazzi” della Parrocchia del Santissimo Salvatore di Pompei, è stata una rappresentazione che fornisce due messaggi: l’importanza della Parrocchia come centro di coordinamento, aggregazione e stimolo a una crescita sana e cristiana di ragazzi e adulti di qualsiasi età, troppo pochi rispetto alla platea che il comune di Pompei propone, ahimè; la aperta dichiarazione da parte dei ragazzi-attori di voler ancora una volta comunicare, attraverso la finzione scenica, una realtà che viene accantonata, dimenticata, scartata perché si pensa erroneamente che non ci appartenga.


A qualcuno forse questa rappresentazione sarà parsa come una delle tante recite a chiusura dell’anno scolastico come avveniva ai tempi della scuola elementare o media.

Ho visto un pubblico ben attento ai gesti e alle parole degli attori e ai contenuti dei brani musicali; un pubblico ovviamente sollecito anche nel cogliere il momento giusto per fotografare.

Un pubblico plaudente all'abilità e alla bravura sia dei propri “pupilli” che di tutti gli altri, e che ha cercato di non distogliere mai la propria attenzione dalla storia che andava via-via sviluppandosi.

Devo dire che ragazzi così bravi nel mantenere la scena, nel recitare con naturalezza di espressione e nel restare fedeli e coordinati nei brani musicali e nelle scene di danza ne ho visti pochi. Molto pochi.
Grande il loro merito per l’impegno profuso e di coloro che quell’impegno hanno voluto e saputo finalizzare con molta abnegazione e disponibilità.

Non è stata una cosa semplice né per gli uni né per gli altri conseguire questo successo.
Il considerare le incombenze scolastiche di fine anno e quelli di lavoro e di famiglia, fa pensare a quanto meraviglioso e importante sia stato il risultato raggiunto, e di come tutti loro avrebbero meritato molto di più di quello che la platea composta per la gran parte da amici, familiari, conoscenti – e come sarebbe potuto mai essere altrimenti, d’altronde! – ha dato loro quale comunque graditissimo compenso: applausi, grida entusiastiche, abbracci, fiori e “pizziata” finale. 

E al termine della fatica la spensieratezza e la felicità dell’età e dell’entusiasmo non ha impedito loro di continuare il gioco e il divertimento.

La stanchezza e la tensione sono state cancellate con un colpo di… “cassino" allo spegnersi delle luci.

Tutto merito della vita che la Parrocchia che “abitano” riesce a proporre loro e del lavoro continuo e costante di perseverante presenza, sostegno morale e aiuto materiale, che viene generosamente donato indistintamente a tutti da Don Giovanni e Don Giuseppe che non negano a nessuno la loro sorridente e gioiosa presenza, concertando tutto con gli impegni cui sono obbligati dal loro ruolo.

Non si è trattata di una recita di fine anno scolastico, non è stata una manifestazione di abilità dei singoli o dei gruppi, non era un mix di brani musicali cantati e ballati intervallati da momenti di prosa. Insomma: non era un festival alla fine del quale decidere chi fosse stato il migliore.

Questo musical arriva da lontano: parte nel 1989 quando Nanni Loy, forse a molti di questi ragazzi personaggio del tutto sconosciuto fino a poco tempo fa, con il film dal titolo “Scugnizzi” ha inteso narrare le vicende di alcuni dei giovani detenuti del riformatorio di Nisida a Napoli, impegnati a realizzare un musical teatrale sotto la guida dell'attore Fortunato Assante.
Attraverso le singole storie dei ragazzi, rappresentate per quadri, il film porge allo spettatore un acuto punto di vista sulle difficili tematiche della camorra e del disagio giovanile nel capoluogo partenopeo.

Il musical, che è stato presentato nel 2002 e riproposto nel 2011, rielabora quei temi proponendoli in un racconto realisticamente vicino a tutti noi; oggi nel 2015 quei contenuti sono ancora disperatamente attuali e spesso drammatici. 

Ho visto il pubblico ben attento a comprendere il messaggio che quei ragazzi hanno voluto trasmettere con il loro impegno.

Bisogna dare credito e spazio ai nostri figli, appoggiarli nelle loro iniziative; i figli non sono una replica dei genitori, sono una “evoluzione” dei genitori; non sono ornamenti da mostrare in giro sottolineandone bravura, abilità, bellezza; non si può fargli ripetere le nostre esperienze, ma farli partire da quelle senza dirglielo: è del tutto naturale e innato che lo faranno; occorre prendere a esempio il mondo animale: fornite le indicazioni principali è opportuno lasciarli liberi di crescere da soli, di permettergli di sbagliare perché imparino a correggersi; importante è che sappiano di non essere soli, che in qualunque momento avessero bisogno di aiuto, lo avranno. 
La Parrocchia, “questa” Parrocchia di Pompei è sicuramente un forte punto di riferimento e di supporto anche per i più piccoli che "stanno arrivando".

Non corriamogli dietro per non farli cadere: basterà essere pronti quando, una volta caduti non riuscissero a rialzarsi da soli.
O anche per medicare le ferite, piccole o grandi che avessero subito.

Si sbaglia nel dire ai propri figli "te l'avevo detto, ti avevo avvisato, non mi stai mai a sentire".
I figli sentono, ascoltano, recepiscono tutto, poi vogliono provare a vedere se e fino a che punto è proprio così, o se non fosse possibile un’altra via non pensata prima. 
Molte volte ci sono scelte o alternative verso le quali nessuno aveva mai posto lo sguardo.
A loro tocca cercare di scoprirle: anche questa è crescita.
Bisogna solo esserci: dietro sempre, qualche volta accanto, mai davanti!

Mai smettere di parlare; anche quando ci viene da pensare di aver gettato parole al vento! mai pretendere assensi o risposte immediate.

Ascoltarli sempre senza stancarsi mai: soprattutto quando tacciono!
Il silenzio dei figli è in grado di comunicare storie di gioia e di disperazione che non avremmo mai pensato di poter ascoltare.

Non faccio il maestrino, non esiste il manuale del bravo genitore: racconto solo la mia esperienza, ripensando spesso a dove ho sbagliato e come avrei forse dovuto comportarmi.

Non trovo giusto dire ai nostri figli che sono "il nostro futuro”.
Io non l’ho mai fatto.
I nostri figli sono semplicemente il loro presente.
Sono il nostro futuro realizzato! e che si materializza giorno dopo giorno.
Non diamo loro responsabilità pesanti, insopportabili e soprattutto ingiuste.
 
Il futuro è una incognita che non è possibile prevedere o costruire.
Quello che conta ed è importante è che ognuno di loro, così come ognuno di noi, riesca a essere solo ed esclusivamente il proprio presente.
Soltanto così è possibile procedere nella costruzione di un nuovo e migliore oggi, pezzo per pezzo ogni giorno che arriva.
Pensare al futuro deprime, perché il futuro non appartiene né può appartenere a nessuno di noi. 
È solo una ipotesi, un calcolo probabilistico.
Qualche rara volta corretto, il più delle volte sbagliato e quasi sempre presenta un risultato inatteso.
Questo gruppo di "giovanissimi della Parrocchia del SS. Salvatore" sono davvero meravigliosamente bravi sotto tutti i punti di vista.
E certamente grande merito è anche, anzi sopratutto dei loro genitori e degli educatori che di questa Parrocchia sono a loro volta parte integrante. 
Ciascuno di loro con un ruolo e un compito preciso e ben determinato.
Ci sono momenti in cui sembra di aver trovato una oasi in un deserto!






Fonti: Immagini della recita da Archivio personale
           Immagine Locandina fornita dal gruppo
           Per quanto riguarda "Un po' di notizie" e la "Trama": Internet "Wikipedia"








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