Mio papà era legato alle tradizioni.
Non ho mai capito bene se anche il suo di papà, il nonno cioè, lo era o se sia stato lui a crearle.
C'era il giorno dei quaresimali, specie di biscotti che ho scoperto poi essere in tutto e per tutto somiglianti ai toscani "cantuccini", quello della "Santarosa" – ma si scrive così? Mai capito bene -, una specie di sfogliatella riccia napoletana sovradimensionata con una ampia ferita nella sua parte superiore dalla quale fuoriesce crema gialla sormontata da una grossa ciliegia; poi il giorno del torrone, quello classico del due di novembre, e via così.
Lui arrivava a casa dal lavoro con il pacchettino ben infiocchettato, e sorridente esordiva con il suo solito festoso "Tanti auguri!" collettivo.
La sua "festosità" la esprimeva in particolare con gli occhi e con lo sguardo. In verità ogni occasione per lui era buona per festeggiare con un qualcosa da mangiare.
C'era anche la serie tradizionale delle pietanze; la minestra maritata e capretto a Pasqua, sartù di riso per il lunedi in albis, il capitone per la sera dell'ultimo dell'anno, la lasagna a carnevale, i cannelloni ed il pollo a ferragosto e via andando. Superfluo e troppo lungo elencarle tutte.
Ogni momento – sacro o profano che fosse stato nell'anno - era scandito da una particolare pietanza o dolce.
Mai un errore od una distrazione, a mia memoria.
Ogni occasione di "pappatoria" speciale era davvero una festa perché mai nel corso dell'anno, una delle pietanze o di un dolce veniva preparato o mangiato in un momento diverso.
Insomma a farla breve, se la pastiera era il dolce della Pasqua mai in è stata portata in tavola fuori periodo; la cassata era il dolce del Natale. Altrettanto mai preparata prima o dopo. Dicasi lo stesso per le carnascialesche lasagne od i ferragostani cannelloni con pollo alla griglia aggiunto.
Ed ero stato tanto abituato a tutto questo che scoprire che si potesse mangiare pastiera o cassata tutto l'anno, e che altri addirittura le acquistasse era da me considerata una anomalia.
La mamma, che sicuramente tradizioni – soprattutto mangerecce conoscendo il nonno, ovvero suo papà – non ne aveva, deve aver accolto questa cosa con il suo solito entusiasmo infantile facendolo suo a tal punto che guai al pensiero di saltarne uno.
Ma per sua fortuna che c'era papà che "partiva" un bel po' di giorni prima dell'evento a ricordarlo.
Uno dei giorni dell'anno in cui la tradizione la faceva da padrone era il quattro del mese di luglio di ogni anno. E non certo per motivi di patriottismo americano quanto per il fatto che in quel giorno festeggiavano il loro anniversario di matrimonio.
Non saprei dire come sia cominciato questa specie di rito secondo la modalità che è rimasta nella mia memoria, perché immagino che durante i loro primi anni usassero una maniera senz'altro diversa per festeggiarlo
Il 4 di luglio non era una giornata in cui mio papà "marinava" il lavoro, però faceva il possibile per non rientrare molto tardi rispetto al suo solito orario.
Arrivava a casa mentre la mamma aveva già iniziato la sua opera di preparazione molto, ma molto per tempo.
Nel frattempo aveva predisposto tutto quello che avremmo dovuto indossare tutti: papà compreso; cravatta inclusa.
Finalmente vestiti di tutto punto e ben improfumati - sembravamo invitati ad un matrimonio -, tutti e quattro ci si avviava in auto verso la solita e sempre uguale destinazione: Bacoli. Era lì che, in non ricordo il nome di quale trattoria – sempre la stessa e soltanto per quella occasione -, andavamo a "cena fuori".
L'andare a cena fuori – per me e mia sorella - era di per sé stesso una festa particolare; perchè non era cosa che potevamo permetterci, ed infatti non lo facevamo mai. Neanche mai a mangiare una pizza; al più la si mangiava a casa. Ma quello era un giorno particolare ed era il giorno in cui mio papà decideva che la spesa andava affrontata. Qualunque fosse stata!
Noi due ragazzi si prendeva pizza e la Coca-Cola.
"Quella" Coca-Cola era tutta un'altra cosa rispetto a quella di oggi. Già la bottiglietta era quella di vetro. Si "stappava" come una andava fatto con una "vera" bottiglia, e poi frizzava che metteva dentro una particolare euforia. Era bellissmo, berne un mezzo bicchiere tutto d'un fiato! Dava una eccitazione particolare. Fa niente se poi tutta l'aria iniziava subito a risalire per dove era scesa, costringendo a fatiche enormi per non dar scandalo a cacciarla fuori dalla stessa parte dalla quale era entrata.
Mio papà non ricordo bene cosa prendesse, ma la mamma era legata a due cose in particolare: impepata di cozze e pollo alla diavola. Le cozze le mangiava solo lei perchè diceva che se erano infettate a lei non avrebbero fatto male – a quell'epoca non ho mai capito bene il perché a lei e solo a lei, le cozze non avrebbero dovuto far niente; in verità ancora oggi questa cosa mi è totalmente oscura -, e che comunque se proprio dovevano far male a qualcuno meglio che fosse lei che uno di noi.
Il pollo alla diavola era una costante che ho visto solo ed esclusivamente in questa occasione. Mia mamma non ha mai mangiato altrove – neanche in casa – un pollo "alla diavola".
Una pietanza che confesso a me ha sempre fatto una certa impressione: arrivava in tavola un ricordo di quello che era stata una gallina, completamente spiaccicata nel piatto. Come uno che dorme in un letto a pancia sotto con braccia e mani allargate e la testa girata di lato. Insomma una cosa un po' macabra.
Della Coca-Cola ho già detto; c'è da aggiungere che all'epoca l'acqua veniva portata in brocca di acqua ed era di rubinetto - che le minerali erano scarsamente in uso -, e poi "birra" per i due festeggiati. Peroni "Nastro azzurro". Che altre marche non erano in voga come invece oggi.
Non era certo una cena pantagruelica, ma era una festa meravigliosa che noi due ragazzi non vedevamo il momento che arrivasse.
Eravamo soltanto noi quattro. La mamma voleva così. Mai venuti nessuno dei nonni. Neanche i due materni che vivevano in casa con noi.
La mamma la considerava una cosa intima, perché riguardava solo noi. Quando la famiglia ha cominciato ad allargarsi questa è stata l'unica tradizione che è stata abbandonata.
Forse perché già in cinque la spesa era diventata più alta, o forse perché l' intimità della quale la mamma era affezionata sarebbe stata intaccata.
Poi iniziò anche il periodo in cui si faceva in modo di essere per quel giorno già in vacanza, nella casetta che papà aveva comprato al mare.
A quella data si era tutti un bel po' più grandi. Rimase intatta però la volontà di festeggiare, cosa che continuammo a fare con uno dei soliti pranzi che papà definiva "speciali" preparati dalla mamma, e con un bel gelato preso durante la consueta passeggiata serale.
È dunque con questo ricordo che ho trascorso il 4 luglio di quest'anno. Quello che sarebbe stato il loro cinquantaseiesimo anniversario di matrimonio se fossero stati ancora con noi.
Ma forse lo è stato lo stesso, perchè in realtà non sono stati distanti che pochi mesi.
Poco più di sette. Troppo poco il tempo trascorso per interrompere una tradizione e far pensare ed un amore interrotto e che invece resterà immutato per sempre.
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