mercoledì 26 marzo 2008

Tramonto…



Ormai è andata. Non c'è più.
Non avrò più modo di guardarla, accarezzarla lentamente per staccare da lei la leggera polvere che riusciva ad attraversarne la spessa copertura.
Farle sbarluccicare nei raggi di una tiepida giornata di sole invernale, le sue meravigliose cromature che mi costringevano ad usare gli occhiali schermati perché gli occhi non bruciassero.
È andata, non c'è più. Non l'ultimo saluto nel vederla salire sul furgone che la portava via da me per sempre.
Un silenzioso addio che ha procurato una cascata di lacrime interne. Tutte mie.
Che nessuno ha potuto vedere, capire, consolare.
E non volevano essere consolate.
Con lei ho lasciato andar via quella parte di me che ancora mi legava alla giovinezza.
Una giovinezza ingiusta perché ormai passata.
Una voglia di adolescenza disperata, che non riesco a tenere a freno, e che si consuma nei ricordi di una realtà di immagini non realizzate.
Quel senso perenne di cosa avrei voluto essere e non sono mai stato, fare e non ho mai fatto, detto e non ho mai detto.
Per la paura di affrontare una vita che non sarebbe stata quella decisa per me, mentre la mia desiderosa voglia di crescere cercava di portarmi lontano.
E lei era la mia speranza di poter un giorno intraprendere il viaggio; non da solo; in compagnia; in tre: io, la mia Annì e lei: la mia moto dei sogni d'infanzia.
Quei sogni di una adolescenza che mi costringevano immobile, senza parole, davanti alle vetrine ad immaginare cosa avrei fatto quando quella che vedevo sarebbe stata mia, pensando al giorno in cui mi sarei seduto su quel sellino per abbracciare la strada affacciato su quei manubri in cui si specchiavano le calde giornate d'estate….
Ho dovuto mettere i piedi a terra, scendere da quella fantastica immagine che ci vedeva liberi di scegliere dove e quando andare, e se e quando tornare.
L'età ha avuto ragione dei miei, dei nostri entusiasmi, costringendoci a seguire quel percorso obbligato di tutti coloro che si avviano lentamente verso l'immenso infinito di una incertezza senza fine….
Quando finalmente credevo di aver raggiunto quel sogno seppure a fatica, provando a farlo durare il più a lungo possibile – ho fatto di tutto perché fosse così, ho dovuto accettare il suo inevitabile disperato - anticipato? - tramonto…..

martedì 25 marzo 2008

Addio!

Addio Roma.
Oggi ti ho forse vissuta davvero per l'ultima volta! Frettolosamente, come sempre quando sono in giro per lavoro.
Ti ho respirata a fondo. Ho riempito i miei occhi di immagini come più non avrei potuto per portar via con un po' dei miei anni smarriti tra le tue strade; per poterti risentire, senza fretta, ogni volta che la nostalgia mi assale.
Dopo trent'anni dalla prima volta, ora l'ultimo e definitivo abbandono.
Con te le prime paure nello scoprirsi adulto, le angosce, le sofferenze; la tentazione di abbandonare e la disperazione di continuare; la volontà di un impossibile ricominciare ogni volta che sembrava finita.
So finalmente che non ci sarà la quarta occasione.
Addio Roma!
Non credevo potessi soffrire così sapendo di non poter più tornare.
Lascio in te una parte dei miei anni. Quelli migliori che non ho conosciuto.
Per me i più duri, i primi, quelli di un passaggio repentino dall'infanzia all'età adulta.
Quelli di un'adolescenza troppo in fretta consumata; quelli che non ho mai vissuto.
Quelli che ho attraversato velocemente ad occhi chiusi e con paura, senza rendermi conto che non sarebbero ritornati mai più.
Non sarebbero potuti mai più essere gli stessi.
Quelli in cui tutto bisognava fosse capito troppo in fretta per non restare schiacciato.
Quelli che credevo ormai trascorsi e lontani, dei quali non ho saputo riconoscere il profumo, che non ho saputo gustare a fondo per il timore che ogni giorno fosse l'ultimo; quello nel quale credevo arrivasse il momento di dover chiudere gli occhi per non poterli riaprire mai più.
In te si cela profondo un pezzo di vita che mi appartiene; che so mio eppure mi è sconosciuto.
Come un taglio che ha lasciato una ferita aperta che non si rimargina; una ferita che non voglio curare per la paura che con il dolore possa scomparire anche il ricordo. Forse un amore che finisce fa soffrire meno; si riesce a farsene una ragione.
Un amore si può sostituire. Basta un'occasione, un nuovo incontro... la vita che passa no.
Non si sostituisce, non serve un incontro, non c'è l'occasione.
L'occasione è la vita stessa, che quando passa ti accorgi che l'hai persa… e quando è persa lo è ormai per sempre.
L'unica cosa al mondo per la quale il cielo non ha dato una seconda chance.
La vita è un'altra cosa. Fatta di tanti piccoli e grandi momenti che alla fine si racchiudono in un pugno grande quanto una mano.
Sembra di stringerli tutti, di averli tutti dentro di sé; poi quella mano si apre per scoprirsi vuota…
Io sono lì, racchiuso in un pugno stretto con il terrore che si apra…
Sono in quelle innumerevoli immagini che non sbiadiscono, in quei rumori, in quelle parole non dette, in quelle cose non fatte… e resto lì in attesa che quel pugno si apra volendo fermamente credere che resterà chiuso; così che tutto possa restare per sempre vero anche quando sarà finita.
Addio Roma! Addio per sempre.

Il piatto della domenica

Lo zito nella pentola sul fuoco
Lentamente si cucina
La fiamma accorta
lo addenta pian-piano
mentre si innalza verso l'alto sussurrando
"Son Fatto!"
Accanto si lascia udire il lento poppiare del ragú
che si prepara ad accarezzar l'amato!
Piano s'adagia nel piatto immacolato
Lo zito morbido e fumante
Mentre di color rosso fuoco
il sapore si colora
e s'inebria
Oh! Qual beltà!
Che grande attesa è la domenica
per chi altro non attende

che la poesia traspaia da quel silenzio

di religiosa estasi che dalla tavola si innalza!
Non c'é null'altro al mondo
di più ammaliante
quanto non sia lo zito
che annega nel ragú.