domenica 31 dicembre 2006

I due soci

Ognuno dei due aveva un compito preciso; Giovanni si occupava della parte commerciale, ed in questo si riteneva un artista; Michele invece eseguiva il suo con attenzione e puntigliosità.
Secondo il “socio” lo stare immerso in un mondo fatto solo di numeri e cifre, aveva finito per renderlo arido e privo di fantasia.
Michele era certo che quello suo fosse il compito più difficile; "di responsabilità", come usava dire lui.
Altro che fantasia; certo, per Giovanni tre più uno poteva dare qualsiasi risultato, a seconda dell'occasione e della convenienza; ma per lui, per come le si volessero comporre, un insieme di quattro unità non poteva che dare quattro. Solo e soltanto quattro: e come lui la pensavano tutti; creditori, ed amministrazione dello stato inclusa.
Perché "è facile stare dietro la scrivania a scrivere carte, compilare moduli, avere a che fare con i clienti" cosa che spesso faceva sì che Giovanni fosse per delle ore fuori ufficio. Le occasioni non gli mancavano di certo, e stavano diventando sempre più niente affatto rare; un po' sicuramente perché di lavoro ce n'era, tanto ed andava anche bene; ma probabilmente un po' proprio a causa del pessimo carattere di Giovanni. Carattere che non era mai stato facile sin dai tempi della scuola, ma che con il passare degli anni stava puntualmente peggiorando.
Insomma ripartendo da dove eravamo arrivati "...ma se non ci fossi io, che devo pensare all'amministrazione! Hai voglia e da quando avremmo chiuso bottega!"
E lì a sacramentare sui conti che non quadravano mai, sulle spese che crescevano, sui margini delle vendite che per colpa della concorrenza si facevano sempre più ridicoli.
Puntualizzando su tutti quelle fatture scoperte che bastava venissero saldate con una settimana di ritardo per mandare a monte il fatturato di un intero mese.
Era quello il momento migliore della sua performance in cui dava il massimo nella interpretazione de " Il diplomato". Così la vedeva Giovanni.
Perché Michele dopo il quinto anno dell'Istituto Tecnico per Ragionieri, si era fermato e non aveva più continuato. Si era anche iscritto alla Facoltà di Economia e Commercio - ai suoi tempi si chiamava ancora così - ma si era arreso quasi subito; lo aveva "fregato" quella chiamata al Banco San Paolo. È vero che si trattava di una specie di lavoro stagionale, ma chissà perché si era illuso che lo avrebbero assunto.
La delusione cocente lo svilì che abbandonò tutto accettando con entusiasmo la proposta di Giovanni di essere soci in una impresa commerciale.
Insomma, per non tirarla alla lunga, quando Michele iniziava con una delle sue solite litanie Giovanni capiva che non era cosa e tagliava corto inventandosi una qualche improrogabile visita ad un cliente. Quando poi riteneva essere tra corso tempo a sufficienza e che doveva essere passata la buriana, finalmente rientrava in ufficio portando a casa il conto del bar e nessun ordine; spesso questo era occasione perchè si aprisse un'altra cataratta.
Era così giunto il momento di abbandonare Michele al suo destino e tornare a casa.
Una mattina si rese necessario preparare la documentazione per la registrazione di un contratto.
Un buon affare chiuso per il rotto della cuffia grazie ad un colpo di fortuna. Non era pervenuto nessun preventivo oltre quello inviato da loro.
Lasciamo che un velo pietoso venga steso sul commento spontaneo di Giovanni; secondo lui avrebbero potuto presentarsi con condizioni più vantaggiose, a nulla valendo farlo ragionare sul fatto che non si può sapere in anticipo se qualcun altro partecipa o meno ad una gara alla quale si risponde; sarebbe bello ed auspicabile, ma impossibile.
Ecco insomma arrivare la nota dolente: per registrare il contratto occorreva presentarsi con una somma in contanti: ben trecentodiciannove euro e venti centesimi!
Questo il conto fatto da Michele. Lo aveva controllato anche con la calcolatrice; era più che sicuro del totale. Tutte le voci erano state ripetutamente controllate e verificate, ed erano stati elencati tutti i vari punti ciascuno con il relativo importo.
L'ultimo, quello che gli dava più dolore di tutti riguardava il costo per una marca da bollo di euro quattordici virgola sessantadue centesimi. Proprio non gli scendeva!
Aveva controllato ed era certo che ne occorresse una sola; aveva anche sottolineato con un gran rigo doppio l'importo, quasi a far nascere un senso di colpa per quella spesa inutile. Ma si sa, le cifre sono fatte di numeri, ed i numeri non hanno cuore; per cui restarono indifferenti al grido di dolore nella loro colonna a far lievitare il totale che costituiva la cifra che Giovanni aspettava di ricevere da Michele.
Al momento di uscir via dall'ufficio Giovanni controllò che avesse messo in borsa tutto il necessario: copia del contratto - in verità lui non lo aveva nemmeno sfogliato, né si sarebbe mai sognato di leggerlo; lo aveva visto, rivisto, corretto ed approvato Michele e tanto bastava a dargli garanzia che tutto fosse a posto -, timbro, penna con inchiostro azzurro, soldi... ecco: la busta con i soldi mancava.
Dove poteva mai averla messa? Sarà che Michele non gliela aveva data? Ma sì, ricostruendo mentalmente il percorso era così. Michele aveva dimenticato di dargli la busta con i trecentodiciannove euro e venti centesimi.
Tutti in contanti.
“Ah,” pensò, “Michele, Michele, anche tu hai commesso un errore: non hai mai usato brillantina Linetti!”
Ma non fece nemmeno in tempo a completare la frase che gli ricordava un vecchio “Carosello” dell'infanzia, che la voce del socio echeggiò nell'aria.
"Giovanni! Ma dove diavolo stai andando senza i soldi."
Rientrò e si mise di fronte a lui restando in attesa; Michele senza alzare gli occhi dalle scartoffie che stava studiando gli fece "La busta sta lì, sulla tua scrivania.
Da ieri sera. Sei il solito distratto. Vedi che ci sono da pagare 319 euro e venti centesimi. Ho fatto il conto."
"Ma mi dai i soldi giusti - giusti contati? E se ci volesse di più?"
"Non ci vuole di più. Ho parlato anche con quel tizio là, il dottor... Non mi ricordo il nome, un nome strano ma comunque lo tieni scritto. Abbiamo fatto il conto insieme."
"Appunto, magari poi scopre che si é sbagliato e che ci vogliono… tipo… altri venti euro..."
"Non ci vogliono... Piuttosto non dimenticarti che ti devono fare la ricevuta. Sai, no? come va intestata?"
"Si lo so... Senti, ma tu lo sai come siete voialtri... come dire... voi che lavorate con i numeri... poi succede che quello rifà i conti, e scopre... che ne so?... che ci vuole magari una marca da bollo in più..."
"Non ci vuole! Anzi, una è anche troppa perchè non ce ne vorrebbe nessuna. Comunque guarda, mi avete rotto tu ed il tuo lamento, che se pure ci volesse una marca da bollo in più sarebbero quattordici euro e sessantadue centesimi; li potresti benissimo anticipare senza star qui a frignare. Ecco, portati trecentocinquanta euro, ed il cielo ti accompagni. Non dimenticare ricevuta e resto; e ci vediamo nel pomeriggio"
"Grazie Miché'! Comunque ci vediamo domani. Questo pomeriggio ho un impegno. Mi incontro con quelli del consorzio. Credo che li porto a prendere un caffè. Forse un aperitivo, é meglio non ti pare? Fa più scena. Domani ti porto pure ricevuta, scontrino del bar e resto. Se rimane. Buona giornata. E non tenere sempre 'sta mano tirata, che la vita è breve! È pure Natale! Sorridi una volta tanto!"

martedì 5 dicembre 2006

Si avvicina il 25 dicembre.....

Sta avvicinandosi il primo Natale senza papà.
Avanza a grandi falcate, e mi sembra di sentirne tutta la fatica.
Non è, e non potrebbe mai esserlo, lo stesso degli anni trascorsi. Se ci fosse stato, oggi avrei dovuto scalare il soppalco giù in garage, prendere l'albero, il suo che da anni conservo da me, e portarglielo.
Mi avrebbe contato i giorni mancanti al prossimo 25 dicembre.
Lo avrebbe iniziato a fare come al suo solito, a ritroso come solo un calendario dell'avvento usa fare.
Tutto il pomeriggio di questo sabato due dicembre l'avremmo dedicato a montare l'albero.
L’albero per tradizione si addobba nel giorno dell’Immacolata, l’otto dicembre. Ma in quel prossimo fine settimana io non sarei andato a trovarlo, alternando le mie visite settimanali, il successivo nove dicembre non sarei andato da lui.
E poi i il presepe.
E lui si sarebbe seduto come sempre lì, sulla cassapanca nell'ingresso a guardare beato lo svolgersi delle operazioni; con quello sguardo da bambino meravigliato dietro quegli occhi che vedevano ormai solo le ombre, osservando in silenzio il procedere delle operazioni.
Preoccupato solo che tutto andasse a buon fine.
Alla fine, quando era ormai sicuro che tutto fosse stato sistemato come sempre, e che ogni cosa avesse ritrovato il suo giusto posto avrebbe atteso la prova finale: che tutte le luci fossero accese.
Solo dopo sarebbe ritornato alla sua poltrona.
Le immagini scorrono nella mia mente come se si stessero lentamente materializzando.
Quasi mi sorprende di trovarmi solo, davanti ad un quaderno a raccontarmele.

La mamma quest’anno non vorrà farlo di certo l'albero per papà; nemmeno il suo presepe verrà alla luce, e le statuine resteranno nella scatola aspettando invano di tornare al loro antico mestiere di sempre.
Ancora troppo aperta la ferita.
Combattuto da una tristezza che mi gonfia il petto, io vorrei che a casa facessimo il nostro.
Vorrei che il mio papà, affacciandosi per darmi gli auguri di Buon Natale riuscisse a ridarmi un po’ del calore del suo affetto che mi manca tanto e che la sua lontananza non riuscirà mai a colmare.