Raffaele
era il fratello di Rosa.
Rosetta
aveva ormai 15 anni quando diventò sorella.
Raffaele
nacque quando i suoi genitori avevano perso la speranza di vedere la nascita
non solo di un secondo figlio, ma che questo fosse addirittura un
maschio.
-Rose',
devi pensare tu a tuo fratello! È ancora giovane!
-Mamma', e
non vi dovete preoccupare: prenderò il vostro posto! Ci penso io!
E con
questa rassicurazione, donna Filomena lasciò – a due anni di distanza dal
marito Gaetano - la valle di lacrime nella quale a conti fatti aveva avuto la
fortuna di non averne versate poi molte, di lacrime.
Rosetta: 45 anni, maritata e con tre figli; Raffaele: 30, un
diploma di perito commerciale e un impiego come ragioniere in una ditta dove
fabbricavano scatole di imballaggio:
“Premiata ditta Di Cosmo & Figli. A Napoli dal 1890”.
Il Di Cosmo nonno di figli ne aveva avuto uno solo, Elpidio.
Dopo la sua morte, e all’arrivo del secondo nipote che non
riuscì a vedere, Elpidio coprì la “o” con una pennellata di vernice e trasformò
“Figlio” da singolare in plurale.
Gennaro, il marito di Rosetta, ascoltando le ultime parole della
suocera si fece la croce mormorando "Ci ha lasciato eredi universali e
chistu bellu capitale!"
In genere tra fratelli la gelosia è un sentimento che sta sempre
lì-lì per saltar fuori e può manifestarsi alle volte a sorpresa in età adulta.
Magari dopo che il primo dei due va sposo e l’altro tarda o
evita del tutto di farlo.
Il primo dei due che si “inzora”, che sia il più grande o meno
d’età non ha importanza, ha in questi casi la strana sensazione che l’altro
possa insidiargli la moglie.
La letteratura e la storia lo hanno insegnato e continuano a
farlo ancora oggi.
Difficile per il maritato sopportare la presenza dello scapolo
in casa sua più del dovuto!
Soprattutto se quello dovesse trovarsi a visitare il fratello in
orari troppo mattutini o peggio ancora decidere di prolungare oltre orario la
sua presenza di sera; quando la cognata per stanchezza indugia a girar per casa
in camicia da notte e vestaglia...
Il fratello della moglie è invece più sopportabile anche se
scapolo, pur se sarebbe meglio si sposasse anche lui.
In particolare il fratello della moglie nato per secondo genito
e non sposato, diventa per i nipoti lo “zio giovane" ovvero "‘o frato
’e mammà”.
Lo zio giovane e scapolo è autorizzato a girare per casa anche
al mattino presto o alla sera tardi, pur se farebbe comunque bene a starsene a
casa sua... quasi sempre quella di famiglia... quella destinata alla sorella...
- È vero: papà la casa l’ha lasciata a me, ma che faccio lo
metto fuori alla porta?
Quella è stata anche casa sua…. fino a che non si fa una sua
vita propria e una sua casa propria… e se lo caccio lui poi dove va?
E quella poi se mamma mia mi viene in sogno e mi dice “ma come?
E che sorella snaturata che ho fatto!? Ha messo fuori al fratello! L’ha messo
in mezzo a una strada! Tu la casa la tieni, e tieni pure marito e figli! Quel
povero ragazzo sta solo, non tiene a nessuno! …e io che pensavo di averlo
lasciato in buone mani… chillu povero guaglione!
E po’ me l’avive prumesso…: …‘n punto ‘e morte…!”
- Ma come “in mezzo a una strada”? e con che coraggio te lo
viene a dire? Quello lavora, c’ha uno stipendio…, ma possibile che non se ne
può andare ad abitare da un’altra parte? Noi la casa ce la potevamo fittare che
un aiuto economico ci fa pure comodo…! Stai a sentire a me: quello se ne
approfitta…! E poi: ma quale ragazzo? Ragazzo…: a trentacinque anni me lo
chiami ragazzo? Una donna se la poteva pure trovare e si faceva pure lui la
vita sua!
- E già! Perché uno poi la prima donna che passa per strada che
fa? La ferma e le dice
“Signori’ scusate, siccome che me ne devo andare dalla casa dove
sono nato e cresciuto e ci abito, perchè mia madre l’ha voluta lasciare “per
forza” a mia sorella, mi vorrei fidanzare con voi stasera che così
domani mattina sposiamo e ce ne possiamo andare a una casa tutta nostra...
Sapete mio cognato se la deve fittare perché ‘gli servono i
soldi…’ e io me ne devo andare! che mamma mia l’aveva detto
sempre… ‘Rose’ statte accorta: chillo nun tene nu’
stipendio comme ‘a Raffaele!’ ”
Ma tu fusse asciuto pazzo?
- Per forza…? Ma come per forza…? Quella la casa non è che te
l’hanno lasciata per chi sà quale motivo, quella è la tua dote di matrimonio… e
scusate signora se prendo le vostre difese visto che siete mia moglie… e che mi
curo anche gli interessi della mia famiglia visto che teniamo tre figli e che
doveva essere un aiuto economico per tutti quanti…
Ebbe’ io non riesco a capire perché quello all’età che tiene non
ha ancora trovato una femmina che se lo prende….
- Perché te l’ho detto: e uno mica si può sposare la prima
persona che incontra…? E se poi non si trova bene? Che fa, si divorzia…?! Ih, e
ti immagini che scuorno? Le persone si devono abituare tra di
loro… vedere se vanno d’accordo… se si piacciono… ci vuole il suo tempo… poi tu
parli come se noi ci fossimo sposati il giorno dopo che ci siamo conosciuti… ti
sei dimenticato che sono passati tredici anni prima di fare il “grande
passo…”?
- E certo! Il povero “ragazzo” fa pure il difficile! E quella
tiene una cosa, a quella ce ne manca un’altra… neh, ma che si crede che la
principessa di Inghilterra arriva a Napoli e si sposa a lui…? e si deve
decidere… si deve accontentare… tiene pure un’età… non è che può pretendere…
E poi noi abbiamo dovuto aspettare tredici anni e il perchè ho
visto che non te lo sei scordato… i tuoi erano fissati che io non ero sistemato
e tua madre diceva che alla figlia sua non avrebbe mai permesso di “andare a
mangiare pane e cipolla appresso a uno sciagurato come me…” e tuo padre sempre
zitto... ‘o povero ommo!... io lo so solo io che ho passato per
farci capire che non facevo l’impiegato ma ero un professionista… che facevo il
geometra e che tenevo uno studio mio e che ti potevo mantenere… secondo lei uno
che lavora deve prendere per forza lo stipendio a fine mese, ferie pagate e
cassa malattia, che se no è un nullafacente…
L’ha crisciuto essa ‘o faticatore!
…“Raffaele…! Lui si che c’ha uno stipendio ogni fine mese! E a
Natale glielo danno due volte perché se lo merita! Tu invece che fine gli vuoi
far fare a mia figlia…?” eh!
E quant’anne ce so’ voluti p’a convincere!
A Natale lo 'pagano due volte' al poverino perché 'se lo
merita!'… lui… “’O faticatore!”
Nu’ povero disgraziato cumme a mme che s’avuta sentì
e dicere!
- Ma mo' che fai, ce l’hai pure con quella brava donna di mia
mamma che in fondo in fondo t’ha voluto sempre bene…? …è che a me ci teneva…
sono sempre la figlia femmina… Non voleva che facevo la stessa fine sua: a fare
la serva al marito.
Lui ci ha provato, è stato fidanzato un sacco di volte ma
evidentemente la donna giusta ancora non l’ha incontrata… vedrai che prima o
poi…
- …e già! Più poi che prima… e certo perché lo stipendio se lo
mette in tasca, la casa la tiene gratis, a mangia’ la domenica e tutti i santi
giorni festivi se ne viene a magna’ qua… e chi glielo fa fare a se sposa’!
Chllo sta cumme a nu’ rre! Siente
a mme: chillo nun se sposa manco si o’ pavano!
- E che vorresti lasciarlo solo a Natale e Pasqua? E la
domenica…? La domenica è una festa di chiesa… è santa… è come se fosse Natale o
Pasqua! Ma se fosse stato un fratello tuo…
- Lascia stare… che se fosse stato un fratello mio è da mo’ che
ll’ess’ fatto una’ faccia ‘e pacchere...!
- E perché saresti stato un fratello snaturato! Voglio vede’
quando poi tua mamma ti veniva in sogno e ti faceva lei a te ‘na faccia
‘e pacchere!
- Io si tenevo a ‘nu frato accussì a me
non mi veniva in sogno mia mamma ma mio padre, e mi diceva pure “Guaglio’ ‘e
fatto bbuono! Frateto tene ‘na
faccia ‘e cuorno!
Statte tranquillo che a tua
madre nun ce rico niente! Anzi… dacce ‘nu pare ‘e
pacchere pure pe’ parta mia!”
E già, perché lo zio giovane la sorella l’invita a pranzo tutte
le domeniche e pure nelle sante festività di Natale e di Pasqua, e pure a
Capodanno… e pure quando sono i giorni del nome e del compleanno.
Quelli del fratello cioè, perché alle altre feste lo zio giovane
si presenta senza bisogno di invito… solo per fare gli auguri… poi però resta
pure a pranzo e alle volte anche a cena… “Vabbuo’,
allora mo’ sa che faccio? Visto che s’è fatto accussì tardi… me
magno primma ‘nu buccone e po’ me ne vaco…”.
"Azzo… ‘nu buccone? ‘Nu piatto e
maccarune , ‘na fella e carna tanta… ‘a ‘nzalata, ‘e
patane, vino, acqua, caffe’..." ...perché...
“…No! In quanto a questo so’ furtunato! Grazie al
cielo io dormo ‘o stesso, nun tengo problema pure si ‘o café mo’
piglio primma ‘e me ‘i a cuccà!”
“E meno male: vire tu che furtuna! Veramente ‘na
furtuna!”
Però quando viene che è una festa della famiglia lo zio giovane
non arriva mai a mani vuote: porta pure i regali.
Per un po’ di volte consecutive sempre lo stesso perché lui
compra più pezzi di uno stesso oggetto... per risparmiare...
Non solo scarpe, calzini, camice, cravatte...
Quando entra in un negozio vede una cosa che gli piace…
chiede il prezzo e poi fa:
- E se me ne prendo due quanto mi fate? E se me ne prendo tre?
E finisce che se ne prende almeno dieci pezzi anche se non
gli servono perché gli fanno lo sconto buono.
Il giorno dell’onomastico e del compleanno del cognato per
cinque anni ha avuto il coraggio di portare ogni volta una boccetta di
dopobarba Williams: dieci tutte in fila là nell’armadio; mai usate.
A Gennaro quel dopobarba non gli è mai piaciuto, ma Raffaele
aveva avuto un bello sconto comprandone dieci tutte insieme.
E poi aveva risparmiato gli aumenti degli anni a venire.
Vuoi mettere?
Poi è stata la volta delle cravatte: sempre dieci.
Ora è arrivato al sesto portafogli.
Ne mancano quattro: due anni ancora, e poi è costretto a trovare
un’altra cosa.
A Natale invece uno scialle per la sorella Rosetta, e un
maglione per Gennaro il cognato.
Stessa fattura, stessa marca: per fortuna cambiano i colori.
Un atto di pietà della commessa.
Ai tre nipoti libri.
Anche quando non sapevano leggere:
“Vedrai come mi ringrazieranno un giorno! Si trovano una
libreria già fornita quando è il momento!”
Li comprava con il Club degli Editori che costavano meno che in
libreria: almeno non era sempre lo stesso titolo perché quelli si ricordano che
cosa ti spediscono.
Uno al mese: 12 libri all’anno.
Tre nipoti e cioè quattro per uno: nome, compleanno, Natale e
Pasqua.
“Che il libro è meglio dell’uovo di cioccolata: non fa venire il
mal di pancia, non scade, e che poi dentro ci stanno sempre le solite
sciocchezze che non servono a niente e poi si buttano.
E che poi con la scusa dell’uovo di Pasqua ti fanno pagare la
cioccolata dieci volte in più: meglio una tavoletta di cioccolata di marca:
pesa di più e costa di meno.”
Solo che i nipoti almeno quando erano più piccoli, a Pasqua
l’uovo l’avrebbero gradito di più…!
…e poi la tavoletta di cioccolata la sentivano solo nominare…
non la vedevano neanche da lontano: né di marca né non di marca…
“Quando cambiate i denti lo zio ve la compra: che la cioccolata
fa venire la carie!”
E poi:
“Avete appena messo i denti nuovi: se poi si cariano con
la cioccolata...! Che poi i vostri genitori dicono subito che è stata
colpa dello zio…!”
Che se fosse stato per lui quei poveri ragazzi la cioccolata
l’avrebbero vista solo in fotografia.
La domenica era una specie di rito: Rosetta aveva mantenuto
l’abitudine della mamma: Ragù di carne!
Con le braciole di manzo e, quando le riusciva a trovarle come
diceva lei da Totore il chianchiere, anche le tracchiolelle di maiale.
Totore non è che non le teneva: ad avercele ce le aveva sempre,
figuriamoci!, è che non sempre le teneva come dovevano essere.
Le tracchiolelle dovevano averci l’osso perché l’osso ci doveva
stare, ma non doveva essere troppo grosso; il grasso perché il grasso ci doveva
stare e si doveva sciogliere dentro alla salsa, ma non doveva essere troppo
spesso: giusto un filino; e poi la carne perché un po’ doveva finire nella
salsa, e un altro po’ se la dovevano mangiare direttamente levandola da vicino
all’osso.
Le tracchiolelle di maiale piacevano a tutti!
Dovevano essere sei, una per uno, e tutte uguali!
Ognuno si doveva trovare nel piatto una braciola e una
tracchiolella; o almeno quello che di quest’ultima ne restava dopo la cottura.
“Rose’, se chiudo gli occhi me pare de vedè a mammà… Fai ‘o rraù
tale e quale a essa! Na cunsulazione! Me pare ‘e stà ‘mparaviso!”
E già, perché Rosetta il ragù l’aveva imparato a fare proprio
buono!
Lo faceva con la conserva di pomodoro, che nessuno la usa più.
Lei se la preparava, la conserva, da sola in casa: faceva tanti
vasetti per quante domeniche ci stavano nell’anno, e ogni domenica ne apriva
uno.
Andava anche a comprare appositamente la pasta quella lunga e
che poi si deve spezzare: gli zitoni!
Quelli a casa sua li spezzava il padre: era il suo compito
domenicale, poi se ne doveva solo andare dentro a leggere il giornale in
soggiorno.
La cucina diventava un posto proibito per tutti tranne che
per Raffaele.
L’unico ammesso era lui e quando ogni tanto infilava una mezza
fetta di palatone nella pentola del sugo, la mamma girava la testa dall’altra
parte facendo finta che non guardava...
Ah! Che fortuna essere il “figlio maschio di mamma’!”
Quel sugo era una meraviglia! Morbido e compatto: il pane si
impregnava tutto di salsa e non ne colava a terra neanche una goccia.
E sì, gli ziti dovevano essere quelli lunghi: gli “zitoni!”;
quelli che una volta spezzati generano tutti quei piccoli frammenti che si
amalgamano con la salsa, restando confinati in fondo alla zuppiera!
Una volta che l’ultimo maccherone era finito sotto i denti,
arrivava il momento della “pulitura del piatto”: una specie di rito che
Raffaele eseguiva a occhi chiusi e lentamente.
Il pane raccoglieva tutto insieme: pasta e salsa.
Gennaro lo guardava invidioso… così come succedeva anche al
papà… una volta...
A Raffaele quasi venivano le lacrime al ricordo del viso
sorridente della mamma che lo guardava bearsi come stesse mangiando chissà
quale prelibatezza.
Pure a Gennaro piacevano: non solo gli ziti dunque, ma anche
tutto il resto.
Rosetta però il piatto di Raffaele lo preparava per ultimo con
la scusa di servire per primo al marito, e così a Raffaele andava il meglio
della zuppiera.
- Raffae’…, e ce ne stanno n’ati ddoie: ‘e vvuo’?
- Rose’, e che ti devo dire… finisce che poi si devono buttare…
è ‘nu peccato d’o cielo! Vuol dire che m’’e magn’io… pure se sto’ pieno!
- E sì, e fallo stu’ sacrificio! Issa remmane’ cu
‘o pensiero…? Fernesce ca po’ nun riesci a ddurmì! Ce vulisse
fa veni’ stu’ scrupolo…!?
- Genna’… ma che sì geluso pe’ dduie maccarune? Tu te ne sei già
mangiato ‘nu bellu piatto! Te ponno fa male si te ne magne
assaje!
- Pe’ carità! Geluso io? E po’ ‘o guaglione
ll’ave ragione: adda magna’! Adda crescere!
E tutte le domeniche la stessa storia, ma a Rosetta non le
importava: la mamma le aveva affidato il fratello e lei questa la considerava
una missione.
E poi era ancora giovane… sicuramente più avanti si sarebbe fatto
una vita sua… magari se ne sarebbe andato pure in un’altra città… lontana da
Napoli... forse anche all'estero... chissà pure se si sarebbero visti a Natale
o a Pasqua…
Su questo pensiero spesso ci piangeva in silenzio senza farsene
accorgere… “Sperammo ca nun se sposa ca si no ‘o perdo!”
No-no! Finchè Raffaele non si “inzorava” ci doveva pensare lei.
Già era tanto che due volte alla settimana sopportava che andava
a casa una donna a fargli le pulizie, il bucato e gli stirava le camice.
Ci sarebbe pure andata lei una volta mandati i figli a scuola,
ma se lo veniva a sapere Gennaro ci avrebbe litigato di brutto!
Non c’era domenica però che Raffaele non si presentava a casa
con la guantiera delle pastarelle!
Tre cannoli alla siciliana, tre sfogliate e tre babà: per non
far vedere che si limitava a comprare una pasta a testa, ne prendeva nove.
E poi a lui piaceva sia il cannolo che la sfogliata: così se ne
poteva mangiare due con la scusa che “Visto che ce ne stanno…mo’ ma magno
‘na sfugliata…”
- Rafe’, esordiva Gennaro ridacchiando quando le paste
arrivavano in tavola, perché ti fermi sempre a nove…? nunn’haie mai chiesto a
Don Vittorio si te faceva o sconto pigliannone dieci? Vuo’ vede’ ca
pe’ ‘na pasta e meno te si perzo ‘o sconto ‘e tre
centesimi?
- Genna’, e quanto sei stupido – interveniva Rosetta – perché lo
devi mortificare a mio fratello…? Chillo ha avuto
‘o penziero…! e tu Rafe’ putive pure evita’! te miette sempre in
cerimonia: stai a casa di tua sorella e di tuo cognato! Mica di estranei: non
c’era bisogno!
- Rose’… lasso ‘o sta’ che a Gennaro ce piace
‘e pazzia’! … chillo io ho saccio: me vo’ bbene
cumme ‘a ‘nu frato! E poi ‘o ssaje che me fa piacere: nunn’è
mica per disobbligo!... ai ragazzi ci piacciono: se le aspettano…
- Rafe’, in quanto a fratello a Gennaro… sient’a mme: lascia
perdere ca nunn’è cosa… meglio che resti fratello mio e basta!”
Alla domenica sera poi, quando lo zio giovane restava anche a
cena perché “Vabbuo’, visto che insisti ma magno ‘na cusarella… tanto per non
andare a letto proprio a stomaco vuoto… mo’ mi trovo che me veco pure
‘a trasmissione sportiva… ma ‘e maccarune ‘e scarfi dinto
‘a padella ca veneno tutti abbruciacchiati comme 'e
faceva mamma’…?”
…e alla fine sistematicamente…
- Genna’… mi sento un poco lo stomaco pesante… tenisse
‘nu poco ‘e bicarbonato?
- E grazie! te si fidato e magna’ chillu poco! Te si
fatto tre braciole ca me parevano tre sottomarini tanto ch'erano
gruosse....
Mo' te sient' 'o stommaco pesante…? ma tu ia'
ringrazia' 'o cielo si 'o stomaco nun t'ha sputato in faccia e nun
se n'egghiuto schifato!
- Genna', e non dire così... davanti ai bambini.... quelli poi
chissà che si penzano...”
- E che se ponno penza': ca teneno nu' zio che è unu
muorto ‘e famma!
- E no Genna', e mo’ stai esageranno! Raffaele si è mangiato
quello che io gli ho messo davanti, e lui che è una persona educata non ha
saputo riufiutare...
- Non ha saputo rifiutare? ma tu staie pazzianno? Nunn' ha
vuluto rifiutà!
Nun s'è manco sunnato e fa 'o gesto 'e
rifiuta'!
- E dai Genna', mo' nun fa accussì! O’ ssaje che te considero
comme a ‘nu frato… Mo' faccio na cosa: me piglio nu bicchierino 'e
limoncello... chillo ca te purtaie l'ata vota... e me metto nu poco 'ncoppa
'o divano...
chello poi me passa!
- Rafe’… lascia perdere ‘o fatto r’o frato… tua
sorella te l’ha già detto…
'O limuncello? certo l'’e purtato... due dommeneche addietro...
ma t’ho beviste tutto quanto ca' scusa che t'era rimasta 'ncoppa 'o
stommaco a fella 'e carne arrustuta…
- A verità…? Io sta cosa r’’o frato nun
l’aggio capita tanto... Rose’ magari poi n’ata vota me la
spieghi…
-
Nun te preoccupa’… nunn’è necessario…
-
Genna’, hai ragione.... e che ci vuoi fare, ho
preso da papà: tengo 'o stommaco delicato....
- Rafè, ma famme 'o piacere.... tene 'o
stommaco delicato 'o guaglione....