lunedì 20 agosto 2007

Confronto di civiltà? No: manifestazione di inciviltà e barbarie.

Pensavo a tutte le volte che leggendo di Bush qualcuno ha dichiarato che è uno dei maggiori, forse il maggior terrorista al mondo presente oggi sulla scena mondiale.

Pensavo a tutti i terroristi sui quali, dichiarati tali dall'opinione pubblica mondiale, dagli stati del mondo e dall'ONU, è stata applicata una taglia per la loro cattura.

Anche Osama Bin Laden è tra questi.

Pensavo a cosa accadrebbe quando Bin Laden dovesse mettere una taglia sulla cattura di Bush.

La differenza tra i due è che Bin Laden si nasconde, agisce nell'ombra e cerca complicità.

George Doppiavvu Bush invece agisce allo scoperto, riceve inviti dai capi di stato, risponde ai loro di inviti e cerca alleati.

Tra i due non v'è differenza alcuna. Ognuno agisce per il proprio interesse, entrambi sono sanguinari e senza scrupoli.

Quello insegna ad uccidere immolandosi, quell'altro ad uccidere facendosi immolare.

Entrambi protetti e nascosti al di fuori della battaglia come i vecchi generali di una volta che guardavano dall'alto delle colline sovrastanti il campo di battaglia, le loro truppe lasciarsi massacrare dal nemico.

Pensare che entrambi credono di essere nella storia lascia sgomenti.

Che vergogna vivere in un mondo così.

domenica 5 agosto 2007

In anticipo

Sono in anticipo sull'orario dell'incontro e mi ritrovo a ciondolare per far trascorrere il tempo. Sono in piazza Trieste e Trento, davanti all'ingresso della Biblioteca Nazionale, dove avverrà un incontro importante.

Inizio ad ingannare l'attesa. Decido: prendo un caffè. Non ho che da scegliere. In questo posto di bar ce n'è diversi. Per me che sono un "estraneo" posso scegliere come in genere faccio in questi casi, seguendo un istinto emotivo.

Gambrinus? Non. Mi fa troppo turista, e non mi piace. Ecco: entro da "Rosati". Mi occorre che trascorra un po' di tempo. Cerco di fare la fila alla cassa lentamente – non lo è molto in verità -, e poi al banco sperando che il barista prepari il mio con tranquillità. Ma qui sono abituati alla frettolosità degli avventori che si presentano al banco.

Di uomini d'affari, impiegati e quanti altri che restano in piedi, si sa che hanno bisogno di fare in fretta. Se hai tempo, se proprio vuoi far sapere che possono servirti con calma, allora ti siedi al tavolino. Io sono in piedi. Ho la borsa di lavoro e sono solo: non posso non aver fretta; il servizio è immediato.

Se il luogo del mio incontro fosse stato quello, allora mi sarei seduto ed il cameriere avrebbe capito.

Bevo il mio caffè, ma è ancora presto. Davvero "molto" presto!

Riattraversando la piazza mi rendo conto che a passare di qui sempre in fretta e quasi mai a piedi, non sono mai entrato nella chiesa la cui facciata occupa quasi completamente uno dei lati della piazza.

È la chiesa di "San Ferdinando". Percorsa la breve scalinata d'ingresso, l'impressione è di essere tornato indietro di oltre quaranta anni. Qui non ci sono panche ma sedie; sedie ed inginocchiatoi di paglia: non ne immaginavo nemmeno più l'esistenza.

Tutte le sedie che messe in bell'ordine - un ordine quasi perfetto - mi riportano ai miei anni di fanciullo quando alla domenica, in una delle due chiese che si affacciano su piazza Dante, entrambe proprio di fronte alla Via di Port'Alba, - era sempre la stessa tutte le domeniche; non mi è mai più riuscito di riconoscere la "nostra", ed oggi non c'è più a chi domandare – andavamo per ascoltare quella celebrazione eucaristica fatta di una cadenzata litania al momento delle preghiere collettive. Una chiesa fatta di popolo, che le recitava in un latino cadenzato. Ne serbo il ricordo come di una strana melodia dal contenuto incomprensibile.

Una volta, un bel po' di tempo addietro sempre per ingannar l'attesa, vi sono entrato. In entrambe. Fino ad allora quanto tempo vi fosse trascorso non riesco ad immaginarlo.

Entrambe ammodernate nelle suppellettili. Con le panche. Non più le sedie, nessuna traccia degli inginocchiatoi che si "fittavano" a parte.

Per riconoscere quale fosse quella dove trascorrevo le domeniche mattina della mia prima infanzia, ho disperatamente girato lo sguardo intorno senza riuscire a ritrovare il volto di quel fanciullo che altro non aspettava il sacerdote con il suo "Ite, missa est" – era l'unica cosa che capivo cosa volesse significare: "finalmente è finita!" -, per uscir fuori a correre verso le bancarelle dei giocattoli. Ogni domenica uno diverso, ogni domenica a desiderarli tutti, ogni domenica una scelta lunga e difficile per portarne via uno.

La chiesa di San Ferdinando, in piazza Trieste e Trento mi ha riportato indietro e non sono sicuro di esserne stato contento.

D'un tratto tra quelle sedie ho rivisto avanzare il volto di quel signore alto, ben vestito, con dei rapidi baffetti neri ed i capelli ben pettinati all'indietro. Impomatati perché ne ricordo la lucida brillantezza. Aveva delle lunghe mani. Forse una sola delle due era lunga: la sinistra. Con la destra raccoglieva le monete del "fitto": dieci lire la sedia, cinque l'inginocchiatoio. Noi eravamo in quanti? Non ricordo. Certamente mio papà e la mia mamma, e c'era con noi anche la mia nonna paterna. Il motivo questo perché noi, pur abitando vicino, si andava in auto. La nonna non poteva camminare. Mi è sempre rimasta fissa nella mente l'immagine di quel suo piede – quale? Il sinistro od il destro? – nascosto in una grossa scarpa felpata marrone, ed il suo lento e trascinante incedere. Che io avessi la sedia tutta per me lo ricordo bene, certo non l'inginocchiatoio che veniva fittato soltanto per gli adulti. Tutte le monetine venivano raccolte in bell'ordine: davanti le più piccoline fino via-via a quelle di maggior valore e più grandi di circonferenza, ben sistemate al centro del palmo. Sembrava fosse esonerato dall'ascoltare la messa: lui lì stava per lavoro. Io ero continuamente sollecitato al silenzio, allo star fermo ed attento; di lui quindi pensavo che fosse esonerato. Lo vedevo andare avanti ed indietro e girarsi da tutte le parti senza obbligo di far la croce quando voltava le spalle all'altare. Per gli altri sarebbe stato un sacrilegio. Lui no: poteva farlo. Pronto a comparire accanto a chi appena entrato, anche se in ritardo aveva da pagargli la moneta della seduta.

I ricordi avanzano troppo in fretta e non mi piace. Per cancellarli tutti – impossibile a questo punto! -, o meglio per non farne avanzare degli altri,esco nuovamente alla luce ed alla confusione della piazza. Ormai è quasi l'ora dell'appuntamento. Aspetterò fuori, così ci presenteremo insieme: il mio collega ed io. Resta da ingannare ancora qualche minuto e lo passo nel fermare sulla carta questi ricordi risvegliatisi a causa del mio solito vizio: arrivare prima. Questa volta forse molto prima di quanto non sarebbe stato opportuno. Magari uno di questi giorno li trascrivo nel mio blog per rileggerli con calma….

Anniversario.

Quanto è bello restare vicino-vicino durante il giorno che lentamente avanza, per ritrovarsi ancora insieme mentre s'approssima la sera.

Con la mia mano tra le tue, non mi fa paura l'arrivo della notte!

Flash

Quando poi la storia sarà finita, resteranno solo fotografie sbiadite dal tempo a testimoniare che è stato tutto vero.

...e quando il cassetto verrà poi chiuso per sempre, chi sarà arrivato dopo non riuscirà a sapere quale sarà stato il principio del racconto…..