giovedì 4 gennaio 2007

La vita si allunga? Servizio Sanitario Nazionale: Grazie da Prodi

Ho ascoltato alla radio una intervista a Prodi. Ha parlato di pensioni. Ha detto che non ci saranno penalizzazioni, ma piuttosto incentivi per chi resta al lavoro una volta raggiunta l’età pensionabile. Ha detto che l'Italia è il paese dove si vive più a lungo. Che questo è dovuto alla buona qualità del nostro Servizio Sanitario Nazionale!
Che la buona qualità di quest'ultimo dovrà pur servire a qualcosa. Quindi vivendo più a lungo si può benissimo andare in pensione in più tarda età.
Chiudo la radio e comincio a pensare. Penso a mio papà. Lui è morto da poco. Ancora pochi giorni ed avrebbe compiuto ottantanove anni.
Forse dunque è vero: è vissuto tanto. Poi penso che da oltre dieci anni, forse di più, è andato avanti con le conseguenze dei postumi di un infarto. Si è salvato perché il suo cuore ha retto all’impatto, e probabilmente perché il cielo non ha voluto chiamarlo a sé in quell'occasione.
No, non per merito del servizio sanitario nazionale. Non c’entra.
Poi ha superato uno: due ictus; un paio di quelli che in gergo medico vengono definiti “TA”; svariati e continui attacchi di angina tanto per fargli capire chi era a comandare.
In particolare durante i cambi di stagione. Anche più d’uno al giorno.
Il tanto vantato Servizio Sanitario Nazionale non ha fatto gran che. Non ha fornito né cure mediche, né soprattutto i medicinali.
Si è dovuto curare privatamente. Altrimenti dubito avrebbe superato financo le prime crisi.
Tutti i medicinali che per oltre dieci e più anni ha dovuto prendere, sono stati tutti a pagamento. Pare che la loro scientificità non venisse riconosciuta dalla scienza medica; che non garantisse il risultato.
Di questo sì, occorre ringraziare il Servizio Sanitario Nazionale.
Intanto non aveva alternative: pagare o non sopravvivere alle crisi.
Mio papà ha vissuto la tanto decantata e vantata longevità, non potendo più camminare nemmeno per la casa. Non riusciva più a muovere il braccio sinistro. Per un po’ la presenza di una fisioterapeuta inviata dalla ASL, ha provato a fargli riacquistare almeno in parte la funzionalità della mano.
Ma poi il numero massimo di sedute è stato raggiunto.
Il Servizio Sanitario Nazionale ha deciso che bastavano. Non so in base a quale valutazione.
Col passare del tempo il braccio si è ripiegato su sé stesso.
Anche di questo occorre ringraziare il Servizio Sanitario Nazionale.
Non riusciva più a vedere null’altro che ombre da entrambi gli occhi.
Due cataratte che non ha potuto operare a causa dell’anestesia da non poter subire.
Non riusciva più neanche a masticare.
Problemi di denti. Non estirpabili anche in questo caso per colpa di una anestesia che, seppure locale, non poteva essere praticata.
Le uniche distrazioni che gli erano rimaste prima che gli eventi precipitassero erano leggere il giornale, i cruciverba, qualche trasmissione televisiva, qualche pranzetto preparato dalla mamma.
Quando queste cose gli sono state impedite, e tutte insieme, ha iniziato a morire un po’ per volta, giorno per giorno.
Mi domando dove fosse il Servizio Sanitario Nazionale. Non s’è mai visto né sentito.
Il medico di famiglia, un personaggio ridicolo, una terminologia di difficile comprensione, faceva difficoltà a prescrivere le analisi, una parte di quelle cui era soggetto erano mutuabili, ed un qualche medicinale che si poteva evitare di pagare.
Lui che forse come tanti sottoscrive certificati di comodo a gente "importante", con chi non è nessuno si faceva venire gli scrupoli.
Certo statisticamente mio papà è vissuto abbastanza oltre l’età pensionabile.
Come è vissuto? Il come non è importante.
Quello che conta sono gli anni, non la qualità di quegli anni. Non è la qualità che fa la statistica, ma il numero. Il numero sì. Quello è importante!
Ed è di numeri che ha parlato Prodi.
Ma prima di lui ne ha parlato Berlusconi: l’artista, il fromboliere, il guitto d’avanspettacolo!
Lui però non utilizza il Servizio Sanitario Nazionale. Lui no, va in America! Lui è il prescelto, l’eletto, il messia!
Lui non può rischiare, lui è destinato a sopravvivere suo malgrado, contro la sua stessa volontà.
In genere i suoi malori, i ricoveri: durano tre giorni; il tempo di morire e poi risorgere!
La decisione che ha considerato il mio papà invalido al cento per cento, e quindi della possibilità di godere del cosiddetto “assegno di accompagnamento” è stata presa il giorno in cui è deceduto: il venticinque settembre 2006.
Accompagnamento; che parola ridicola, insulsa e priva di significato.
Per come stava combinato non poteva essere accompagnato nemmeno in bagno. Aveva dovuto subire la più grossa umiliazione che una persona adulta possa sopportare: i “pannoloni”.
Sento vergogna in me ancora oggi a pensarli. A pensare a questa mortificazione dell’animo.
Forse per accompagnamento intendono quello verso l’ultimo percorso; quello finale, senza il ritorno.
Poi mi capita di pensare anche a tutti gli anziani che incontro e che vedo in piazza camminare a stento affidati al braccio di governanti straniere che li sorreggono, che vengono spinti su carrozzine mentre i loro sguardi spenti seguono immagini che portano lontano e si perdono in fondo alla via; che sento parlare tra loro mentre sono in fila in farmacia, in piedi per non perdere il turno; mentre senza più voce chiedono di entrare nelle famigerate ''liste d'attesa" di un ambulatorio. Li ascolto domandarsi di amici e compagni di scuola che non vedono da tempo, sperando di sentirsi rispondere che sono ancora vivi; mentre chiedono qualche centesimo di sconto alla cassa e contano nelle mani tremanti le monetine con cui pagano, un po’ per volta; con gli occhi semichiusi per vederci meglio.
Tanti di loro non hanno tanti anni; hanno solo subito le batoste che li hanno mortificati rendendoli soggetti alla buona volontà di chi è più giovane.
Ascolto raccontarsi la loro età: chi “appena” sessanta, chi “già” sessantacinque; qualcuno di loro anche settanta, ma in genere a lì sono tanti che non riescono più nemmeno ad uscire di casa.
Mi chiedo se non avessero avuto la fortuna di andare già in pensione, come avrebbero fatto a sopravvivere.
La loro vista mi angoscia; mi vedo io e spero che a me tocchi una sorte diversa.
Chi anche di loro non lo ha sperato inutilmente! vedendo cosa era capitato a chi gli era davanti.
Vorrei almeno riuscire ad arrivare vivo all’ultimo giorno.
Poi mi vengono in mente ancora una volta le parole di Prodi, tante, troppe volte ascoltate anche dalla voce di chi ci ha già governato prima, e che per curarsi non si sogna nemmeno lontanamente di utilizzare il tanto decantato Servizio Sanitario Nazionale.
Quelle parole che risuonano nella mia testa come un'offesa. Un’offesa alla memoria del mio papà.
Una irridente e canzonatoria litania verso il popolo dei bisognosi, degli affranti, di chi può affidarsi solo al cielo ed alla buona volontà.
Sarà anche vero che la vita muore più tardi di quanto non avveniva in passato.
Altrettanto vero è che si muore alla vita più o meno alla stessa età di sempre.
Vorrei suggerire ai miei figli di non affannarsi a trovare subito un lavoro.
Dovranno comunque lavorare fino a che su quel lavoro non ci muoiono.
Tanto vale cominciare il più tardi possibile e nel frattempo che sono ancora in salute e ne hanno la forza che la vivano, la vita; che si divertano.
Dopo, quando crederanno di aver raggiunto il momento di meritare finalmente un po’ di riposo non potranno farlo mai più.
Forse non riusciranno mai ad andare in pensione, o probabilmente a quel momento potrebbero non essere più in grado nemmeno di uscire fuori il balcone di casa.
Tutto un po’ come continuare a credere di possedere l’auto; cosa fa se la si tiene ricoverata in garage non potendoci camminare, perché ha il motore fuso?