domenica 16 dicembre 2007

Trasferta di lavoro

Il vantaggio dei brutti. Stamani mi trovo a far colazione in una posizione strategica: sono di fianco alla porta d'ingresso. Chi entra in sala mi passa dinanzi.

I soliti gruppi. Già ieri sera a cena la solita cagnara. Stranamente non ci sono giapponesi. I giapponesi li trovo dappertutto. Questa volta no. Non ne vedo nessuno. In compenso ci sono i tedeschi. Tanti. Brutti. Bruttissimi. Uno più inguardabile dell'altro. Mi passano davanti uno per uno. Riempiono i tavoli di chiasso, bevande, cornetti, prosciutto, formaggi. Quelli di oggi si preparano alla partenza. Raggiungeranno un'altra meta dove portare le loro orripilanti figure. Li trovo davvero spaventosi. Non se ne salva nessuno. La gran parte di loro sono brutti ed anziani; ogni tanto salta fuori qualcuno che sembra essere più giovane: bruttissimi anche quelli!

Un bel po' di loro grassi, altri grassissimi. Le donne hanno un fondoschiena enorme; i maschi si fanno particolarmente notare per il loro stomaco a forma di palloncino. L'impressione é che qualcuno si preoccupi di farli andare in giro per salvare l'immagine del paese. Forse gli pagano anche il viaggio purché se ne stiano lontani. Chissá...!

Io non trovo nessuno che mi paghi una vacanza; in nessun posto.
Al più trasferta di lavoro. Ma si sa, non è una vacanza, quella.

La sfortuna di essere belli.

lunedì 20 agosto 2007

Confronto di civiltà? No: manifestazione di inciviltà e barbarie.

Pensavo a tutte le volte che leggendo di Bush qualcuno ha dichiarato che è uno dei maggiori, forse il maggior terrorista al mondo presente oggi sulla scena mondiale.

Pensavo a tutti i terroristi sui quali, dichiarati tali dall'opinione pubblica mondiale, dagli stati del mondo e dall'ONU, è stata applicata una taglia per la loro cattura.

Anche Osama Bin Laden è tra questi.

Pensavo a cosa accadrebbe quando Bin Laden dovesse mettere una taglia sulla cattura di Bush.

La differenza tra i due è che Bin Laden si nasconde, agisce nell'ombra e cerca complicità.

George Doppiavvu Bush invece agisce allo scoperto, riceve inviti dai capi di stato, risponde ai loro di inviti e cerca alleati.

Tra i due non v'è differenza alcuna. Ognuno agisce per il proprio interesse, entrambi sono sanguinari e senza scrupoli.

Quello insegna ad uccidere immolandosi, quell'altro ad uccidere facendosi immolare.

Entrambi protetti e nascosti al di fuori della battaglia come i vecchi generali di una volta che guardavano dall'alto delle colline sovrastanti il campo di battaglia, le loro truppe lasciarsi massacrare dal nemico.

Pensare che entrambi credono di essere nella storia lascia sgomenti.

Che vergogna vivere in un mondo così.

domenica 5 agosto 2007

In anticipo

Sono in anticipo sull'orario dell'incontro e mi ritrovo a ciondolare per far trascorrere il tempo. Sono in piazza Trieste e Trento, davanti all'ingresso della Biblioteca Nazionale, dove avverrà un incontro importante.

Inizio ad ingannare l'attesa. Decido: prendo un caffè. Non ho che da scegliere. In questo posto di bar ce n'è diversi. Per me che sono un "estraneo" posso scegliere come in genere faccio in questi casi, seguendo un istinto emotivo.

Gambrinus? Non. Mi fa troppo turista, e non mi piace. Ecco: entro da "Rosati". Mi occorre che trascorra un po' di tempo. Cerco di fare la fila alla cassa lentamente – non lo è molto in verità -, e poi al banco sperando che il barista prepari il mio con tranquillità. Ma qui sono abituati alla frettolosità degli avventori che si presentano al banco.

Di uomini d'affari, impiegati e quanti altri che restano in piedi, si sa che hanno bisogno di fare in fretta. Se hai tempo, se proprio vuoi far sapere che possono servirti con calma, allora ti siedi al tavolino. Io sono in piedi. Ho la borsa di lavoro e sono solo: non posso non aver fretta; il servizio è immediato.

Se il luogo del mio incontro fosse stato quello, allora mi sarei seduto ed il cameriere avrebbe capito.

Bevo il mio caffè, ma è ancora presto. Davvero "molto" presto!

Riattraversando la piazza mi rendo conto che a passare di qui sempre in fretta e quasi mai a piedi, non sono mai entrato nella chiesa la cui facciata occupa quasi completamente uno dei lati della piazza.

È la chiesa di "San Ferdinando". Percorsa la breve scalinata d'ingresso, l'impressione è di essere tornato indietro di oltre quaranta anni. Qui non ci sono panche ma sedie; sedie ed inginocchiatoi di paglia: non ne immaginavo nemmeno più l'esistenza.

Tutte le sedie che messe in bell'ordine - un ordine quasi perfetto - mi riportano ai miei anni di fanciullo quando alla domenica, in una delle due chiese che si affacciano su piazza Dante, entrambe proprio di fronte alla Via di Port'Alba, - era sempre la stessa tutte le domeniche; non mi è mai più riuscito di riconoscere la "nostra", ed oggi non c'è più a chi domandare – andavamo per ascoltare quella celebrazione eucaristica fatta di una cadenzata litania al momento delle preghiere collettive. Una chiesa fatta di popolo, che le recitava in un latino cadenzato. Ne serbo il ricordo come di una strana melodia dal contenuto incomprensibile.

Una volta, un bel po' di tempo addietro sempre per ingannar l'attesa, vi sono entrato. In entrambe. Fino ad allora quanto tempo vi fosse trascorso non riesco ad immaginarlo.

Entrambe ammodernate nelle suppellettili. Con le panche. Non più le sedie, nessuna traccia degli inginocchiatoi che si "fittavano" a parte.

Per riconoscere quale fosse quella dove trascorrevo le domeniche mattina della mia prima infanzia, ho disperatamente girato lo sguardo intorno senza riuscire a ritrovare il volto di quel fanciullo che altro non aspettava il sacerdote con il suo "Ite, missa est" – era l'unica cosa che capivo cosa volesse significare: "finalmente è finita!" -, per uscir fuori a correre verso le bancarelle dei giocattoli. Ogni domenica uno diverso, ogni domenica a desiderarli tutti, ogni domenica una scelta lunga e difficile per portarne via uno.

La chiesa di San Ferdinando, in piazza Trieste e Trento mi ha riportato indietro e non sono sicuro di esserne stato contento.

D'un tratto tra quelle sedie ho rivisto avanzare il volto di quel signore alto, ben vestito, con dei rapidi baffetti neri ed i capelli ben pettinati all'indietro. Impomatati perché ne ricordo la lucida brillantezza. Aveva delle lunghe mani. Forse una sola delle due era lunga: la sinistra. Con la destra raccoglieva le monete del "fitto": dieci lire la sedia, cinque l'inginocchiatoio. Noi eravamo in quanti? Non ricordo. Certamente mio papà e la mia mamma, e c'era con noi anche la mia nonna paterna. Il motivo questo perché noi, pur abitando vicino, si andava in auto. La nonna non poteva camminare. Mi è sempre rimasta fissa nella mente l'immagine di quel suo piede – quale? Il sinistro od il destro? – nascosto in una grossa scarpa felpata marrone, ed il suo lento e trascinante incedere. Che io avessi la sedia tutta per me lo ricordo bene, certo non l'inginocchiatoio che veniva fittato soltanto per gli adulti. Tutte le monetine venivano raccolte in bell'ordine: davanti le più piccoline fino via-via a quelle di maggior valore e più grandi di circonferenza, ben sistemate al centro del palmo. Sembrava fosse esonerato dall'ascoltare la messa: lui lì stava per lavoro. Io ero continuamente sollecitato al silenzio, allo star fermo ed attento; di lui quindi pensavo che fosse esonerato. Lo vedevo andare avanti ed indietro e girarsi da tutte le parti senza obbligo di far la croce quando voltava le spalle all'altare. Per gli altri sarebbe stato un sacrilegio. Lui no: poteva farlo. Pronto a comparire accanto a chi appena entrato, anche se in ritardo aveva da pagargli la moneta della seduta.

I ricordi avanzano troppo in fretta e non mi piace. Per cancellarli tutti – impossibile a questo punto! -, o meglio per non farne avanzare degli altri,esco nuovamente alla luce ed alla confusione della piazza. Ormai è quasi l'ora dell'appuntamento. Aspetterò fuori, così ci presenteremo insieme: il mio collega ed io. Resta da ingannare ancora qualche minuto e lo passo nel fermare sulla carta questi ricordi risvegliatisi a causa del mio solito vizio: arrivare prima. Questa volta forse molto prima di quanto non sarebbe stato opportuno. Magari uno di questi giorno li trascrivo nel mio blog per rileggerli con calma….

Anniversario.

Quanto è bello restare vicino-vicino durante il giorno che lentamente avanza, per ritrovarsi ancora insieme mentre s'approssima la sera.

Con la mia mano tra le tue, non mi fa paura l'arrivo della notte!

Flash

Quando poi la storia sarà finita, resteranno solo fotografie sbiadite dal tempo a testimoniare che è stato tutto vero.

...e quando il cassetto verrà poi chiuso per sempre, chi sarà arrivato dopo non riuscirà a sapere quale sarà stato il principio del racconto…..

mercoledì 11 luglio 2007

Sono ormai due mesi…. o poco più!

Ciao mammina.

Andato via papà, avevo sempre pensato che sarebbe potuto accadere come con i nonni. Ed in questo pensiero si è macerato l'animo mio per sette mesi.

Quando l'amore diventa una unica unità, come è stato per te e papà, la metà che resta deve ricongiungersi.

Non riesce a stare lontana da quella che va via per prima.

Come una calamita si ricollega alla sua parte distante.

Non riesce a consolarmi la certezza d'essersi tesa verso di te quella mano che tante volte hai stretto, e nella quale hai tenuto nascosta a tutti la tua fragilità, venire a raccogliere la sua "Bambolettina" per portarla via con sé.

Per poterla curare e coccolare per sempre; come sempre aveva fatto prima.

Così trovando il modo per esserci sempre accanto, anche quando siamo lontani.

Questa volta però, in un silenzio assordante che mi riempie la mente.

Com'è difficile Gesù, nell'ora della prova, quando arriva il momento in cui "Tutto è compiuto", capire quale sia il confine tra la vita e la morte; quale sia la morte e dove finisce; convincersi che è quello il momento in cui inizia la vita.

Tante, troppe volte, in tante occasioni cerco di trovare in me una forza che viene meno; tante, troppe volte m'appello a te fino a quando innalzo ripetutamente anch'io il mio grido: "Sì, io credo, ma tu soccorri alla mia incredulità!"

Ciao mammina.

Stringevi piano la mia mano ed io sapevo che questa volta non ero io bambino ad affidarmi a te, ma il contrario.

E l'ho sentita scivolar via pian piano perché non era più la mia quella che ti portava via.

Distratto non mi accorgevo del cambio

Non mi è riuscito in questo breve tempo rimasto, di sostituirmi al ruolo che avevi tu quando io, bisognoso di cure ed indifeso mi hai aiutato a guarire, a sollevarmi perché continuassi ad affacciarmi al mondo.

Non mi è riuscito di alleviare le tue sofferenze.

Perdono mammina mia, per tutto il niente che ti ho dato!

Ciao mammina, ciao papà!

Non abbandonatemi mai! Vi voglio bene.

domenica 25 marzo 2007

Toh! Guarda chi si vede!?

L’INPS che per anni si è disinteressata di me tant’è che avevo per molto tempo avuto la sensazione di non esistere affatto per questo benemerito e stranissimo Ente, di un tratto s’è palesata.
Per anni ha registrato con sistematica lentezza le annualità dei contributi versati dall’azienda di cui ero e da quella della quale sono attualmente dipendente.
Tanto per dare un’idea di situazioni recenti ecco un paio di brevi appunti
Alla data del 19 marzo 2006, erano stati registrati i contributi relativi a tutto il 31 dicembre 2003.
A quella del quattro febbraio 2007 si era finalmente giunti con tanta fatica al 31 dicembre 2004!
Questo nonostante la puntuale regolarità dei versamenti effettuati.
Ora come annotavo più sopra, l’ INPS si degna di scrivermi provvedendo a farmi pervenire il “Rendiconto” dei versamenti effettuati dall’Azienda presso la quale sono alle dipendenze, effettuati nel corso dell’ultimo biennio: 2005 e 2006.
Con tanto di invito a verificare la correttezza dei dati ed a mettermi in contatto con la mia sede di competenza per eventuali chiarimenti od errori da evidenziare.
Come mai questa "strana" iniziativa? A cosa è dovuto questo repentino cambio di rotta teso ad evidenziare tanta solerzia?
La risposta era contenuta nella busta insieme al “Rendiconto”.
Un simpatico e pratico opuscolo intitolato “TFR – Scegliere oggi pensando al domani”.
In seconda pagina il messaggio personale introduttivo del ministro Damiano.
Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale.
L’ho letto. Devo essere sincero: in qualche pagina sono andato un po’ veloce.
Ma questo non ha influito sulla comprensione del suo contenuto.
Devo dire che non mi sta bene, no! Non mi sta affatto bene che questo centrsinistra persegua ancora oggi quell’obiettivo di matrice stalinista della “propaganda”.
I tempi oggi sono forse un po’ cambiati, e quel tipo di Comunismo “forse” oggi non esiste più.
Credevo che questi metodi fossero appannaggio solo del centrodestra.
Ecco i punti che mi hanno colpito:
A) Viene dato per scontato che il lavoratore debba necessariamente scegliere di aderire ad un fondo pensione. Magari proprio quello gestito dall' INPS? e perché no?
B) Le spiegazioni e le esemplificazioni presentate sono finalizzate a lasciar intendere che l’unica strada percorribile sia comunque quella di destinare il TFR ad un fondo pensione.
C) L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una intimidazione: o scegli di destinare il TFR ad un fondo pensione, oppure vivrai male gli ultimi anni della tua “lunga” e bella vita che ti resta.
Una considerazione:
No, non è affatto vero quel che c’e scritto nella breve introduzione del ministro.
Non è affatto vero che si vive meglio e di più.
Non è vero che le due cose siano sempre concomitanti, certamente non lo sono per tutti.
Probabilmente è vero solo che si vive di più, e già questa è una affermazione che non sempre vale per tutti.
Ma certamente non meglio. È vero: anche questo non vale per tutti.
“Meglio" vive solo una parte della popolazione, e non di tutti gli ex lavoratori.
Solo quella parte benestante che ha un reddito alto pur se in pensione, e che gli consente di godere di una sanità privata ed a pagamento, e non certo del tanto vantato “Servizio Sanitario Nazionale”.
Quel che non viene spiegato ed illustrato è:
a chi conviene versare il TFR in un fondo pensione? A chi conviene lasciarlo in azienda?
Manca un esempio che veda coinvolto un lavoratore al quale mancano solo otto/nove anni al quorum: sessanta anni d’età, quaranta di contributi.
Cosa consigliare? In che modo dovrebbe comportarsi?
Niente di tutto questo. Solo pubblicità e non informazione.
Solo e soltanto propaganda. Come ai vecchi tempi.
Che peccato, un'altra occasione perduta.



giovedì 4 gennaio 2007

La vita si allunga? Servizio Sanitario Nazionale: Grazie da Prodi

Ho ascoltato alla radio una intervista a Prodi. Ha parlato di pensioni. Ha detto che non ci saranno penalizzazioni, ma piuttosto incentivi per chi resta al lavoro una volta raggiunta l’età pensionabile. Ha detto che l'Italia è il paese dove si vive più a lungo. Che questo è dovuto alla buona qualità del nostro Servizio Sanitario Nazionale!
Che la buona qualità di quest'ultimo dovrà pur servire a qualcosa. Quindi vivendo più a lungo si può benissimo andare in pensione in più tarda età.
Chiudo la radio e comincio a pensare. Penso a mio papà. Lui è morto da poco. Ancora pochi giorni ed avrebbe compiuto ottantanove anni.
Forse dunque è vero: è vissuto tanto. Poi penso che da oltre dieci anni, forse di più, è andato avanti con le conseguenze dei postumi di un infarto. Si è salvato perché il suo cuore ha retto all’impatto, e probabilmente perché il cielo non ha voluto chiamarlo a sé in quell'occasione.
No, non per merito del servizio sanitario nazionale. Non c’entra.
Poi ha superato uno: due ictus; un paio di quelli che in gergo medico vengono definiti “TA”; svariati e continui attacchi di angina tanto per fargli capire chi era a comandare.
In particolare durante i cambi di stagione. Anche più d’uno al giorno.
Il tanto vantato Servizio Sanitario Nazionale non ha fatto gran che. Non ha fornito né cure mediche, né soprattutto i medicinali.
Si è dovuto curare privatamente. Altrimenti dubito avrebbe superato financo le prime crisi.
Tutti i medicinali che per oltre dieci e più anni ha dovuto prendere, sono stati tutti a pagamento. Pare che la loro scientificità non venisse riconosciuta dalla scienza medica; che non garantisse il risultato.
Di questo sì, occorre ringraziare il Servizio Sanitario Nazionale.
Intanto non aveva alternative: pagare o non sopravvivere alle crisi.
Mio papà ha vissuto la tanto decantata e vantata longevità, non potendo più camminare nemmeno per la casa. Non riusciva più a muovere il braccio sinistro. Per un po’ la presenza di una fisioterapeuta inviata dalla ASL, ha provato a fargli riacquistare almeno in parte la funzionalità della mano.
Ma poi il numero massimo di sedute è stato raggiunto.
Il Servizio Sanitario Nazionale ha deciso che bastavano. Non so in base a quale valutazione.
Col passare del tempo il braccio si è ripiegato su sé stesso.
Anche di questo occorre ringraziare il Servizio Sanitario Nazionale.
Non riusciva più a vedere null’altro che ombre da entrambi gli occhi.
Due cataratte che non ha potuto operare a causa dell’anestesia da non poter subire.
Non riusciva più neanche a masticare.
Problemi di denti. Non estirpabili anche in questo caso per colpa di una anestesia che, seppure locale, non poteva essere praticata.
Le uniche distrazioni che gli erano rimaste prima che gli eventi precipitassero erano leggere il giornale, i cruciverba, qualche trasmissione televisiva, qualche pranzetto preparato dalla mamma.
Quando queste cose gli sono state impedite, e tutte insieme, ha iniziato a morire un po’ per volta, giorno per giorno.
Mi domando dove fosse il Servizio Sanitario Nazionale. Non s’è mai visto né sentito.
Il medico di famiglia, un personaggio ridicolo, una terminologia di difficile comprensione, faceva difficoltà a prescrivere le analisi, una parte di quelle cui era soggetto erano mutuabili, ed un qualche medicinale che si poteva evitare di pagare.
Lui che forse come tanti sottoscrive certificati di comodo a gente "importante", con chi non è nessuno si faceva venire gli scrupoli.
Certo statisticamente mio papà è vissuto abbastanza oltre l’età pensionabile.
Come è vissuto? Il come non è importante.
Quello che conta sono gli anni, non la qualità di quegli anni. Non è la qualità che fa la statistica, ma il numero. Il numero sì. Quello è importante!
Ed è di numeri che ha parlato Prodi.
Ma prima di lui ne ha parlato Berlusconi: l’artista, il fromboliere, il guitto d’avanspettacolo!
Lui però non utilizza il Servizio Sanitario Nazionale. Lui no, va in America! Lui è il prescelto, l’eletto, il messia!
Lui non può rischiare, lui è destinato a sopravvivere suo malgrado, contro la sua stessa volontà.
In genere i suoi malori, i ricoveri: durano tre giorni; il tempo di morire e poi risorgere!
La decisione che ha considerato il mio papà invalido al cento per cento, e quindi della possibilità di godere del cosiddetto “assegno di accompagnamento” è stata presa il giorno in cui è deceduto: il venticinque settembre 2006.
Accompagnamento; che parola ridicola, insulsa e priva di significato.
Per come stava combinato non poteva essere accompagnato nemmeno in bagno. Aveva dovuto subire la più grossa umiliazione che una persona adulta possa sopportare: i “pannoloni”.
Sento vergogna in me ancora oggi a pensarli. A pensare a questa mortificazione dell’animo.
Forse per accompagnamento intendono quello verso l’ultimo percorso; quello finale, senza il ritorno.
Poi mi capita di pensare anche a tutti gli anziani che incontro e che vedo in piazza camminare a stento affidati al braccio di governanti straniere che li sorreggono, che vengono spinti su carrozzine mentre i loro sguardi spenti seguono immagini che portano lontano e si perdono in fondo alla via; che sento parlare tra loro mentre sono in fila in farmacia, in piedi per non perdere il turno; mentre senza più voce chiedono di entrare nelle famigerate ''liste d'attesa" di un ambulatorio. Li ascolto domandarsi di amici e compagni di scuola che non vedono da tempo, sperando di sentirsi rispondere che sono ancora vivi; mentre chiedono qualche centesimo di sconto alla cassa e contano nelle mani tremanti le monetine con cui pagano, un po’ per volta; con gli occhi semichiusi per vederci meglio.
Tanti di loro non hanno tanti anni; hanno solo subito le batoste che li hanno mortificati rendendoli soggetti alla buona volontà di chi è più giovane.
Ascolto raccontarsi la loro età: chi “appena” sessanta, chi “già” sessantacinque; qualcuno di loro anche settanta, ma in genere a lì sono tanti che non riescono più nemmeno ad uscire di casa.
Mi chiedo se non avessero avuto la fortuna di andare già in pensione, come avrebbero fatto a sopravvivere.
La loro vista mi angoscia; mi vedo io e spero che a me tocchi una sorte diversa.
Chi anche di loro non lo ha sperato inutilmente! vedendo cosa era capitato a chi gli era davanti.
Vorrei almeno riuscire ad arrivare vivo all’ultimo giorno.
Poi mi vengono in mente ancora una volta le parole di Prodi, tante, troppe volte ascoltate anche dalla voce di chi ci ha già governato prima, e che per curarsi non si sogna nemmeno lontanamente di utilizzare il tanto decantato Servizio Sanitario Nazionale.
Quelle parole che risuonano nella mia testa come un'offesa. Un’offesa alla memoria del mio papà.
Una irridente e canzonatoria litania verso il popolo dei bisognosi, degli affranti, di chi può affidarsi solo al cielo ed alla buona volontà.
Sarà anche vero che la vita muore più tardi di quanto non avveniva in passato.
Altrettanto vero è che si muore alla vita più o meno alla stessa età di sempre.
Vorrei suggerire ai miei figli di non affannarsi a trovare subito un lavoro.
Dovranno comunque lavorare fino a che su quel lavoro non ci muoiono.
Tanto vale cominciare il più tardi possibile e nel frattempo che sono ancora in salute e ne hanno la forza che la vivano, la vita; che si divertano.
Dopo, quando crederanno di aver raggiunto il momento di meritare finalmente un po’ di riposo non potranno farlo mai più.
Forse non riusciranno mai ad andare in pensione, o probabilmente a quel momento potrebbero non essere più in grado nemmeno di uscire fuori il balcone di casa.
Tutto un po’ come continuare a credere di possedere l’auto; cosa fa se la si tiene ricoverata in garage non potendoci camminare, perché ha il motore fuso?